SPAVENTATI E SONNACCHIOSI

SPAVENTATI E SONNACCHIOSI

Il quadro emerge da tre indagini: le classifiche del benessere nelle province italiane del Sole 24 Ore, il Rapporto Censis, i dati ISTAT sulla natalità. Scendiamo sotto i 59 milioni di residenti e i nuovi nati sono meno di 400 mila. In 35 province più pensionati che lavoratori. Udine la Provincia campione, Foggia il fanalino di coda. Sollecitazione ai Lions: creiamo un Service Italia o dell’Ottimismo. Di Pierluigi Visci

La vertigine sul ciglio del baratro. Una sensazione pungente di nausea prima del terrore. Nel giro di poche settimane, sul finire del ventitreesimo anno del Terzo Millennio, tre osservatori privilegiati ci offrono drammatici presagi: Il Sole/24 Ore – in un appuntamento che procede regolarmente dal 1990 – con la classifica sulla qualità della vita nelle 107 Città Metropolitane e Province; il Rapporto Censis, puntuale da 57 anni, sulla situazione sociale del Paese; l’ISTAT, infine, con i suoi dati inoppugnabili sulla condizione demografica dell’Italia, che nel 2022 è scesa sotto la soglia dei 59 milioni di residenti. E nessuno sembra darsene pena.
Come nel peggiore degli incubi, la memoria corre agli otto musicisti, diretti dal violinista britannico Wallace Hurtley, che la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, continuarono a suonare sul Titanic che lentamente s’inabissava, per non creare panico nei croceristi che non sarebbero mai arrivati a New York. L’ultimo pezzo suonato dall’orchestra dell’allora modernissimo, lussuosissimo e mastodontico transatlantico, intorno alle due di notte, fu Nearer, My Good, to Thee (Più presso a te, Signor). Un inno cristiano del XIX secolo, ispirato dal sogno di Giacobbe così come raccontato nella Genesi. Date le premesse, speriamo di non ascoltarlo mai.
Dalle tre fotografie scattate dal quotidiano della Confindusttia, dal centro studi fondato da Giuseppe De Rita e dai numeri del nostro istituto di statistica, il nero si afferma come colore dominante. Perché finiscono per essere concordanti. Apatica è la condizione di fondo.
La malattia italiana, afferma il sociologo, è il sonnambulismo. La società che vede, complessivamente, appare preda di un “sonno profondo del calcolo raziocinante”, si crogiola in uno stato di “ipertrofia emotiva” e brancola in una singolare forma di cecità. Non è cieco, ma non vede perché non vuole vedere, preferisce ignorare i segnali, gli allarmi, i presagi. A questa stanca società (e ai suoi componenti) non interessa più crescere per crescere, ambire ad essere agiata per accontentarsi della pur modesta e rassicurante quotidianità per un briciolo di benessere individuale. Esprime “desideri minori”, insomma. Meno lavoro, più tempo libero. Meno responsabilità, più divertimento, vacanza, futilità. Ai tempi dell’assessore Nicolini si sarebbe detto effimero.
Concorda l’economista che scruta preoccupato i numeri nei quali “legge” incertezze, eccessive prudenze, pavidità, attendismo. Tutti disvalori che diventano panico e incapacità di investire se stessi e le proprie risorse. Smettendo di intraprendere.
I sondaggi fotografano una condizione di inattività superficiale e ripiegata, mentre le statistiche registrano le conseguenze macroeconomiche e sociali di una demografia in ritirata, probabilmente frutto di quella “ipertrofia emotiva” di cui scrive il Censis. Sono sempre meno, insomma, gli italiani che credono nel futuro e soprattutto nel futuro dell’Italia. E in questa Italia c’è un Sud che sprofonda prima e più velocemente del resto dello Stivale. Catastrofismo? No, dati.
Nella classifica del benessere delle Province, redatta sulla base di elementi ufficiali certificati, nelle ultime 40 posizioni troviamo ben 31 (sono in tutto 39 nelle otto regioni meridionali) territori del Mezzogiorno. Colpa della precarietà dei lavori? Oppure di condizioni economiche modeste, che impediscono di ipotizzare futuro tanto da evitare di mettere al mondo figli?
Per Luca Ricolfi, sociologo e saggista, negli ultimi 70 anni il Paese è cresciuto pur in condizioni socioeconomiche anche peggiori. E i figli non sono mai mancati. Anzi. Le cause della odierna bassa natalità e delle ridotte produttività vanno ricercate nella “deriva iperindividualista” che privilegia stili di vita “centrati sul se”. In parole povere, puro egoismo. Da benessere che sentono a rischio.
Restiamo sulla demografia. Per natalità l’Italia è agli ultimi posti delle classifiche europee. Al 31 dicembre 2022 eravamo 58.997.201 residenti. Per ogni bambino sotto i 6 anni ci sono 5 anziani. Nel 1971 ogni 100 under 15, c’erano 46 over 65. Oggi, gli over, sono 193, quattro volte di più. I nati nel 2022 sono stati 393 mila, settemila in meno rispetto al 2021 (meno 1,7%).
A rischio il sistema pensionistico e del welfare in generale. Questi nuovi nati, pochi, cominceranno a produrre (anche contributi) solo nel 2040, mentre già oggi gli anziani rappresentano quasi un quarto della popolazione. Nel 2050 saranno 4,6 milioni in più, con una quota che salirà al 35% della popolazione.
Ci aiuteranno gli immigrati? Macché. Con 700 mila morti e 400 mila nati, ogni anno avremmo bisogno di 350 mila cittadini in più solo per pareggiare i conti. Ma gli immigrati irregolari che entrano, nella maggior parte dei casi transitano solo, mentre oltre la metà degli ingressi regolari, con i periodici decreti flussi, sono lavoratori stagionali. Non bastano.
La politica è ossessionata dalla questione migratoria. Intanto, dovremmo preoccuparci della nostra emigrazione verso lidi (soprattutto europei) più accoglienti. Attualmente sono circa sei milioni gli italiani residenti all’estero. Ovvero, “in fuga verso l’altrove”, come li identifica il linguaggio immaginifico Censis. E sono più degli immigrati che stazionano sul nostro territorio (circa 5 milioni). Negli ultimi dieci anni gli espatriati tricolore sono aumentati del 36,7% (1,6 milioni in più). Nell’ultimo anno sono stati 82.014, di cui il 44% tra 18 e 34 anni. Sono soprattutto laureati: sono passati dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021.
“Un drenaggio di competenze – scrive lo staff di De Rita – che non è inquadrabile nello scenario di per sé positivo e auspicabile della circolazione dei talenti, considerato che il saldo migratorio dei laureati appare costantemente negativo per l’Italia”. Insomma, regaliamo formazione di alto livello accademico ai nostri competitor! A noi, per contro, a metà secolo mancheranno otto milioni di lavoratori (e altrettanti contribuenti previdenziali).
È “clamoroso” – come scrive Giorgio Dell’Arti nell’Anteprima del 23 dicembre – che in 35 (dico 35!) delle 107 province italiane, una su 3, il numero dei pensionati superi quello dei lavoratori attivi, che producono reddito e versano contributi previdenziali. Sono soprattutto nel Mezzogiorno, ma non mancano realtà del prosperoso Centro e neppure del laborioso Nord. La tragedia non è dietro l’angolo, è già in casa. Per la precisione, eccole: Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia, Lecce, Cosenza, Caltanissetta, Oristano, L’Aquila, Taranto, Terni, Nuoro, Isernia, Benevento, Palermo, Campobasso, Agrigento, Potenza, Trapani, Biella, Enna, Ancona, Rieti, Catania, Perugia, Ferrara, Siracusa, Imperia, Ascoli Piceno, Vercelli, Rovigo, Avellino, Asti, Salerno, Savona, Chieti. Di fatto il Molise e l’Umbria; la Calabria (meno Reggio); la Sicilia (meno Messina e Ragusa); le Marche, l’Abruzzo e la Liguria per una metà e buona parte della Campania. E sette capoluoghi di Regione su 20: Palermo, Ancona, Perugia, Catanzaro, L’Aquila, Campobasso, Potenza. Meditate gente, meditate.
Quante sollecitazioni, quanti spunti per capire e orientarsi in un Paese di spiccate contraddizioni. Certamente non ci siamo dimenticati del benessere nelle nostre province, di dove si vive meglio e dove peggio o meno bene. Diciamo, intanto, che sul podio ci sono Udine, inedita capo classifica nei 34 anni dell’indagine. Segue Bologna, che vanta 5 medaglie d’oro, un argento e un bronzo, e cede al capoluogo friulano l’ultimo scettro. Al terzo posto troviamo Trento, una provincia (autonoma, in questo caso) abituata all’aria fine delle alte vette delle classifiche del benessere, che prende in considerazione 90 indicatori suddivisi in sei maxi categorie: ricchezza e consumi, affari e lavoro, ambiente e servizi, demografia, salute e società, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero.
Dati questi riferimenti, Udine vince per qualità della vita delle donne, va bene anche per quella dei bambini, vantando record di palestre, piscine, centri per il benessere fisico. È al 49° posto per giustizia e sicurezza grazie a limitata frequenza di incendi, delitti informatici, furti d’auto. Ha anche una bassa incidenza di famiglie con ISEE sotto i 7 mila euro (al contrario di Palermo, che ha il maggior numero di famiglie con ISEE basso). Basso anche il numero delle imprese in stato fallimentare. Bologna si conferma in testa nelle categorie demografia, salute, società. Nella top ten troviamo Bergamo (ambiente e servizi ai massimi livelli), Milano (leader negli affari e nella finanza, ovviamente), Firenze (l’anno scorso sul podio: penalizzata dal caro affitti e dai reati di strada), Modena, Monza-Brianza (ricchezza e consumi), Aosta e Verona completano la lista.
Le grandi città soffrono: Roma è 35ª, Torino 36ª, Genova precipita in 47ª posizione. Napoli al posto 105, meglio Palermo che la precede al posto numero 95. Foggia è il fanalino di coda, preceduta da Caltanissetta. Vibo Valentia esce dalla palude del Mezzogiorno per numero di imprese condotte da under 35 anni. Nuoro per numero di bar. Isernia per progetti finanziati con il PNRR (indicatore entrato quest’anno nelle classifiche). Un inedito è anche Chieti (giustizia e sicurezza) per il basso indice di litigiosità tra gli abitanti sulla base delle cause iscritte nei ruoli del tribunale. Anche nel 2023 la capitale morale (Milano) surclassa la capitale politica (Roma).
In sintesi, il 2023 è stato certamente un altro anno di crescita grazie al rimbalzo seguito alla frenata causata dal Covid. Il fenomeno è ormai quasi completamente riassorbito. Il dato consolidato è quello della prudenza e di investimenti traballanti, tanto per le famiglie quanto per le imprese. Un po’ per i prezzi alti, molto per la situazione geopolitica mondiale che alimenta le incognite per il futuro. Pil in crescita (+5,8%) con picchi a Belluno (+6,9%), Arezzo (6,5), Biella (6,4) e il più 6,1% di Milano, che è quattro volte quello di Agrigento.
Positivi anche i dati dell’occupazione (+2%) con exploit nel Mezzogiorno: Brindisi (18,2), Benevento (14,4), Vibo Valentia (14). Napoli fa il più 6,7% contro il 3,6% di Milano. Sarebbe interessante confrontare questi dati con quelli del reddito di cittadinanza in regressione. La fotografia appare incoraggiante, anche se l’Istituto Tagliacarte, specializzato per analisi congiunturali nel Mezzogiorno, nota che la fiducia di famiglie e imprese è in flessione, con un clima di attesa e la costante paura della guerra e dell’inflazione, che è stata la sciagura del 2023 come quella del caro energia aveva segnato il 2022. Un indicatore sensibile è l’erosione del risparmio. I dati dei depositi bancari segnalano un meno 3,8%, con punte del meno 8,1 a Rimini, – 7,6 a Biella, – 7,1 a Modena, – 7 a Milano.
Modesta proposta. Questi dati, opportunamente confezionati, potrebbero ispirare ai Lions dei vari territori interventi conoscitivi e operativi. Inventare una sorta di Service Italia (o Service dell’Ottimismo o del Fare), declinato nei singoli territori a seconda delle esigenze che classifiche e dati statistici prospettano.
Il Lions Italia è lievemente cresciuto (più 218 soci), a fronte di 1.163 nuovi membri contro 945 perdite (l’anagrafe ha il suo peso). Il saldo tra nuovi Club e Club cessati è quasi in parità (un modesto – 3). E la consolazione di poter contare, nel Mezzogiorno, su una significativa presenza di Club e soci, con parziali di 3.487 soci e 139 club in Campania, Calabria e Basilicata e 3.765 soci e 118 club in Sicilia.
Nelle stesse aree si registrano, rispettivamente, anche 156 e 209 nuovi soci e segni positivi significativi nel saldo ingressi/uscite. È solo uno spunto di riflessione, senza voler invadere campi altrui e consolidate autonomie di giudizio. E buon viaggio, nel 2024, in un’Italia meno angosciata e sonnacchiosa.