Una testimonianza che fa… “pensare positivo”

Una testimonianza che fa… “pensare positivo”

Si sono sprecati articoli, post, parole e commenti su quanto questa pandemia possa o debba cambiarci, infatti tutti abbiamo l’impressione che il “dopo”, quando verrà, non potrà più essere identico al “prima”; perciò voglio riferire una testimonianza che può essere uno spunto, una riflessione per un’inversione di rotta che ci potrà forse accompagnare nei prossimi anni. In questa storia si può cogliere la riscoperta di alcune dimensioni della vita date per scontate o dimenticate, l’importanza di trovare un senso a quello che stiamo vivendo e, allo stesso tempo, ritrovare quella capacità di sviluppare nuove soluzioni per restare in contatto con quelli che amiamo e che la vita, per motivi diversi, separa.
Il racconto è quello di un’amica, medico di base, che si è trovata ad affrontare un evento inaspettato con ritmi di lavoro e situazioni umane fortemente destabilizzanti, come il flusso di pazienti da gestire in continua crescita, le responsabilità ed i rischi sempre più forti, le giornate, vissute spesso con protezioni insufficienti, scandite da telefonate per dare indicazioni e fornire informazioni, ma soprattutto per creare ponti di comunicazione (le videochiamate consentono di sorriderci, di scambiare battute, di parlare “al futuro”, di allontanare la malinconia); dimostrando ancor una volta che la vicinanza del medico curante è fondamentale, infatti conosce il suo interlocutore da anni, i suoi punti deboli e, soprattutto, i suoi punti di forza da usare come risorsa per governare la paura.
In questo momento i numeri tornano a salire secondo l’invariabile matematica del contagio, la seconda ondata che era prevista eppure pareva impossibile, mette i suoi pazienti alla prova e questa prova autunnale è, se possibile, più sottile e dunque più esasperante.
Tutta la sequenza romantica di bandiere, canzoni, balconi è ormai inservibile ed è in questa circostanza che si esplica la sua opera di professionista attenta, che deve incitare i pazienti ad indossare la mascherina protettiva, a lavarsi le mani, a mantenere il distanziamento, per essere disposti, ancora una volta, a ricucire la trama della nostra comune vulnerabilità.
Un grazie particolare, dunque, a questa dottoressa che ha sottratto tempo alla cura di sé e dei suoi familiari per donarlo alle persone che a lei giornalmente si affidano.
“Penso positivo, perché son vivo, perché son vivo….” cantava Jovanotti qualche anno fa… di questi tempi molti discorsi vengono fatti sull’antagonismo positivo/negativo, oggi l’aggettivo “positivo” assume un brutto significato, perché si riferisce al fatto di essere stati contagiati dal Coronavirus ma, positivamente, possiamo affrontare al meglio ogni cosa, anche la più inattesa e complessa, di conseguenza noi, come Lions, dobbiamo essere portatori del “virus della positività”, di per sé potente antidoto per aiutare a sconfiggere questa terribile epidemia. (Evelina Fabiani / LC Voghera la Collegiata)