LA TEMPESTA PERFETTA (e il mondo finisce di nuovo in ginocchio)

LA TEMPESTA PERFETTA (e il mondo finisce di nuovo in ginocchio)

Il Grande Uragano si è abbattuto sul nostro Pianeta e fa esplodere crisi energetiche, inflazione, conflitti sociali, mentre l’emargenza climatica porta siccità, desertificazione, alluvioni, incendi. Cosa fare? LION interpella i presidenti dei nostri Club. Di Pierluigi Visci

Un’altra tempesta perfetta. Perfettissima anzi. Più perfetta di quella che fu la devastante crisi finanziaria 2007-2012, sintetizzata dal giornalismo internazionale proprio con la formula presa a prestito dalla meteorologia per descrivere un uragano che colpisce con precisione millimetrica l’area più vulnerabile di una regione, provocando il massimo danno possibile. Con l’enorme differenza che l’uragano che ci sta colpendo, e forse sommergendo, non travolge una regione o un’area di quella regione, ma il mondo intero. Ne soffrono le popolazioni più svantaggiate – come l’Africa, che vede aggravarsi il rischio di carestie e spopolamento – e, paradossalmente, quelle delle regioni, a cominciare dalla nostra florida Europa, che hanno più alti livelli di reddito, di consumi, di protezione sociale. E nelle quali il rischio di scontri sociali è sempre più evidente.
Perfetta, in questo senso, è anche la sintesi che la direzione di LION pone come tema portante di questo numero d’esordio dell’annata 2022-23 e con il quale, alla vigilia di un autunno più che problematico, interpella la base del lionismo nazionale, attraverso i presidenti di Club, a formulare idee, proposte, risposte e mostrare come sempre capacità di leadership nel proprio ambito e territorio. Come sempre, un impegno gravoso e stimolante di fronte ai tanti focolai di acute difficoltà, individuali e collettive, riconducibili a un unico tema: il Grande Uragano. Appartengono al coacervo drammatico le guerre, note e dimenticate. L’ultima che registriamo, quella Russia-Ucraina, combattuta con carri armati e missili, ma soprattutto sul terreno economico, con sanzioni e controazioni, il costante ricatto dell’energia e, addirittura, la minaccia nucleare. Nell’ultimo anno (anche prima della guerra) il prezzo del petrolio è aumentato di 5 volte, il gas di sei. L’esplosiva e inarrestabile crisi energetica ci connette all’esplosione dell’inflazione, prevista a due cifre già da questo autunno. Il “caro bollette” è costato alle casse dello Stato più di 50 miliardi (3% del PIL) per alleviare la sofferenza di famiglie e imprese. Ed è già certo che lo shock inflativo costerà 30 miliardi nei prossimi due anni al sistema pensionistico per l’adeguamento delle prestazioni al costo della vita. Un macigno sui tentativi di riforma anticipando il pensionamento. E dire che l’inflazione era un fenomeno del quale, da almeno dieci anni, eravamo immuni, tanto da consentire alle banche centrali di portare sottozero il costo del denaro per dare una spinta all’economia. La Bce, banca centrale europea, tra luglio e settembre alzerà i tassi di un punto, rallentando la crescita e penalizzando le economie più indebitate (Italia in primis). Lo stesso accade negli Stati Uniti e a Londra.
Collaterali, ma intimamente connese, le questioni ambientali prevedibili e previste che congiurano per aggravare il quadro sociale ed economico, rallentando i programmi di transizione economica di decarbonizzazione del Pianeta fino all’obbiettivo zero nel 2050. Difficoltà ambientali che alimentano siccità (precipitazioni diminuite di un terzo nell’ultimo anno, prevalentemente a causa delle temperature oltre i 40 gradi già a giugno) e la crescente desertificazione che vede a rischio un quinto del territorio nazionale. Siccità e desertificazioni sono portatori di alluvioni e incendi boschivi. Quest’anno hanno lambito addirittura la Capitale, con le fiamme che hanno divorato 80 ettari sull’Aurelia, 50 nel Parco del Pineto e 20 a Castel Fusano, mettendo a rischio il prezioso Parco dell’Insugherata. Le conseguenze non sono solo minore ossigeno per la Terra. Questi sconvolgimenti climatici sono portatori di danni reali alle città, ai piccoli borghi, al minuto ecosistema. Comportano la riduzione costante dei ghiacciai, dai Poli fino alle nostre montagne, come testimonia il crollo di monumenti millenari della natura come quello della Marmolada, col tributo di undici vite. È, ancora, la produzione agricola che soffre, è scarsità di approvvigionamenti alimentari, è carrello della spesa sempre più caro e sempre più vuoto. Come per l’energia, la guerra in Ucraina ha inciso anche in campo alimentare: oggi siamo tutti a conoscenza di quanti prodotti alimentari (e non solo) arrivavano da Kiev, “granaio” del mondo bloccato per lungo tempo al porto di Odessa.
Tanti, troppi uragani, e tutti assieme, per una popolazione globale non ancora completamente uscita dalla pandemia da Covid-19, costata lutti, sacrifici personali enormi, restrizione di libertà, contrazione nello sviluppo economico, esplosione della spesa sanitaria. E anche aspre polemiche politiche, scontri di piazza, laceranti contrasti etici e ideologici. Ogni grano di questo terribile rosario è, dunque, connesso all’altro, ogni crisi alimenta la successiva, ogni difficoltà aggrava quella precedente e appesantisce quella che verrà. Non vorremmo essere nei panni dei governanti del mondo, che comunque fanno, sbagliano. E sono alla mercé di opinioni pubbliche non sempre in buona fede.
Da dove cominciare? Il capitolo più doloroso è quello bellico. La crisi che sembra avere innescato questo doloroso circuito sembrerebbe, a un approccio parziale, la guerra che dalla fine di febbraio si combatte alle porte dell’Europa, al confine polacco: la guerra della Russia contro l’Ucraina. La sollecitazione di LION perciò non parla di guerra, ma di guerre. Perché mentre leggiamo questo articolo, nel mondo, quasi in ogni continente, oltre a quella in Ucraina, della quale sappiamo tutto in tempo reale, si combattono altre 58 guerre. Non meno sanguinose, non meno odiose. Dieci di queste sono conflitti di lungo corso: Etiopia, Yemen, Sahel, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Myanmar, Colombia. Sette sono autentiche polveriere: in Afghanistan si combatte dal 1978; in Iran c’è un rischio nucleare; tra Israele e Palestina il nodo inestricabile è sempre quello di Gaza, occupata dal 1967; in Nigeria, da 20 anni, l’integralismo islamico di Boko Haran terro-rizza l’Africa (40 mila morti) e impedisce l’istruzione; in Siria, dopo 300 mila morti, si continua a combattere contro il regime del presidente Assad, al potere da 22 anni; a Taiwan, ed è cronaca, la tensione Usa – Cina è altissima. Da ultimo, l’Ucraina. “È la terza guerra mondiale a pezzi e a bocconi”, avverte da anni Papa Francesco. Ci prendiamo cura, giustamente, di quel milione di bambini in fuga dalle bombe russe in Ucraina, ma non sappiamo nulla dei 200 milioni di esseri umani che convivono con le guerre nel mondo. Che sono il 20 per cento in più dall’inizio del terzo millennio. Amnesty, nel Rapporto 2019, ci fa sapere che in Yemen una persona di 25 anni ha già vissuto 14 guerre. E Oxfam Italia calcola che nel mondo 82 milioni di persone sono in fuga da persecuzioni, catastrofi climatiche e guerre dimenticate. E per Norwegian Refugee Council, ci sono guerre più dimenticate di altre. In Burkina Faso, nel Sahel, il presidente democraticamente eletto Kaborè è stato destituito a gennaio da un colpo di Stato militare, mentre i guerriglieri jihadisti continuano ad attaccare sistematicamente i villaggi, uccidendo, violentando, stuprando donne e bambini. Il Mali ha subito due colpi di Stato in nove mesi: qui i gruppi armati praticano la cosiddetta “somalizzazione del territorio”, attraverso il controllo ferreo e violento di fette del Paese. Abbiamo scoperto le tensioni in Congo recentemente a causa dell’uccisione del nostro ambasciatore Luca Attanasio. Ci sono conflitti anche in Europa: in Kosovo, dove circola l’euro, è sempre accesa la rivalità (anche violenta) tra serbi e albanesi, per un passato che non vuole passare. E in Turchia l’esercito di Erdogan non dà tregua alla popolazione curda accusata di terrorismo per via del Pkk. E si potrebbe continuare con la Liberia, la Libia, il Nagorno Karabakh. E non si finirebbe mai.