Il “patto” con le future generazioni

Il “patto” con le future generazioni

Su ambiente, biodiversità, ecosistemi con uno scudo anche per gli animali… Rivoluzione gentile in Costituzione: ampliate le tutele dell’articolo 9, che non è più “solo” paesaggio. Le libere attività economiche private subordinate a salute e ambiente. Di Pierluigi Visci

Una data da cerchiare in rosso e celebrare soprattutto nelle scuole: l’8 febbraio. Come la Festa degli Alberi, 21 novembre. Dall’8 febbraio (2022) la tutela dell’ambiente e degli esseri viventi, vegetali e animali, che formano la biodiversità, è più ampia. Più convinta. E sacra. Con alcune semplici ed essenziali modifiche all’articolo 9 della Costituzione, il Parlamento della Repubblica ha aggiunto a quelle del paesaggio e del patrimonio storico e artistico la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, con un inedito unicum di portata assolutamente storica, anzi epocale, per dirla con il ministro della Transizione ecologica, Cingolani: nell’interesse delle future generazioni. Una visione e una utopia per l’oggi e per l’avvenire, con un impegno intergenerazionale, che sa di eternità. Non solo: la libera (e sacrosanta) iniziativa economica privata (articolo 41) non potrà svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente, valori che il legislatore del XXI secolo ha voluto anteporre a quelli già posti nel 1948: l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà, la dignità umana. Su Lion ne avevamo scritto, anticipando l’esito, nel numero di dicembre 2021. Quel passo definitivo è stato compiuto l’8 febbraio, appunto, subito dopo la conclusione della sessione parlamentare (3 febbraio) dedicata all’elezione del Presidente della Repubblica.
Quanta strada da quel 25 settembre 1920 quando il filosofo Benedetto Croce, ministro dell’Istruzione Pubblica nel settimo e ultimo governo Giolitti, presentava ai colleghi senatori del Regno la prima legge di sensibilità ambientale italiana, per la tutela delle bellezze naturali e storico-artistiche, con quel poetico (e patriottico) accenno alla secolare carezza del suolo agli occhi. Da quelle basi, nel 1939, nascerà la non meno significativa legge Bottai che, singolarmente, trattandosi di una legge fascista, finirà per influenzare i costituenti democratici e antifascisti del ’46-’47 e i due eminenti parlamentari – Aldo Moro (Dc) e Concetto Marchesi (Pci) – che proposero l’articolo 9. Dopo 74 anni si concretizza un percorso di sensibilizzazione ecologica, di crescita culturale, di maturazione giuridica nelle sentenze e nelle corti di tutto il paese, comprese Cassazione e Consulta. In sostanza, le riforme dell’8 febbraio arrivano a sancire quello che la società ha già maturato e metabolizzato. Sarà anche per questo che, dalle proposte iniziali (quattro) all’ultimo voto della Camera, sono trascorsi poco più di due anni. E che l’Iter in Parlamento, con le quattro “letture” previste, compresi gli intervalli di decantazione tra una deliberazione e l’altra, si sia esaurito in appena 213 giorni, tra il 9 giugno 2021 e l’8 febbraio 2022. Con un voto quasi unanime della Camera (468 voti a favore, contrari solo 6 deputati di Fratelli d’Italia), superiore ai due terzi prescritti dalla Carta per evitare il referendum popolare confermativo. Merito anche dell’intelligenza dei legislatori che hanno opportunamente aggirato l’ostacolo posto dalla Lega all’inserimento in Costituzione della tutela degli animali. È stato scelto di sancire il principio in Costituzione, rinviando al legislatore ordinario l’emanazione di leggi specifiche di tutela. Un compromesso pagato alle istanze del mondo venatorio per non rallentare o compromettere tutta la riforma.
Perché dev’essere chiaro che la doppia riforma costituzionale, come è stato scritto, non è solo una riforma gentile, e che sulla Carta fondamentale non sono state scritte solo belle parole. E lo scontro evitato sulla caccia ne è l’esempio più evidente. Ancora di più avremo le idee chiare quando si andranno ad affrontare le revisioni, per opera del sindacato costituzionale della Consulta, di legislazioni passate, in materia urbanistica, ad esempio, o di inquinamento industriale. Il caso Ilva di Taranto è il primo che ci viene a mente. Insomma: quelle due parole – salute e ambiente – inserite nell’articolo 41, non sono messe lì a caso. Anzi, sono frutto di anni e anni di battaglie politiche.
Quanto alla tutela degli animali, ci viene in soccorso il ricordo autobiografico di Fulco Pratesi, fondatore del WWF Italia nel 1966, che tre anni prima, allegramente impegnato in una partita di caccia in Turchia, depose il fucile alla vista di una mamma orsa che curava i suoi tre piccoli. Quell’immagine, ricorda 60 anni dopo, “mi aiutò a far sbocciare l’amore per le creature”. L’orso marsicano, emblema del Parco Nazionale d’Abruzzo, è nel logo del WWF, come il Cavaliere d’Italia lo è della palude di Orbetello.
Questa doppia innovazione costituzionale conferma anche che quando c’è la volontà politica, non occorrono tempi biblici per riformare il paese. E che un Parlamento che si voleva mandare a casa già nell’estate del 2019, sedici mesi dopo la sua elezione, ha realizzato – al di là di come la si pensi – tre revisioni costituzionali, due delle quali epocali: quella di cui ci stiamo occupando, naturalmente, e quella relativa alla riduzione dei parlamentari da 945 a 600. La terza è l’abbassamento da 25 a 18 anni, dell’età minima per eleggere il Senato della Repubblica, parificando l’elettorato attivo dei due rami del Parlamento. Un riforma apparentemente “minore”, che va incontro alla necessità di avvicinare di più i giovani alla partecipazione democratica, riducendo anche le differenze di rappresentanza tra Senato e Camera che da anni contribuiscono all’instabilità dei governi e alla compromissoria produzione legislativa.
Trattando di tutele dell’ambiente e delle biodiversità, torniamo a Fulco Pratesi che, nel commentare il voto dell’8 febbraio, richiamava la necessità di “ridurre la crescita o almeno l’impatto di questa specie invasiva e prepotente che è l’homo sapiens. In 50 anni ha raddoppiato la sua presenza e i suoi danni”. Passione e saggezza di un visionario di 87 anni.
Otto miliardi di essere umani (alla data del 23 gennaio scorso, secondo Demetria) attualmente sulla faccia della Terra, fanno paura, specie se pensiamo all’aumento inerziale per cui a fine secolo saremo (anzi: saranno) 11 miliardi. In realtà, stimano i demografi, il tasso di crescita si è dimezzato rispetto agli Anni ’60, con la natalità che scende sotto il tasso di sostituzione e così ci fermeremo a 9 miliardi e 600 milioni di essere umani. Vale per l’Occidente, ma anche per l’Asia e l’America Latina. La Cina, in particolare, già ora conta più ultrasessantacinquenni che bambini. Se nel 2000 c’erano 10 lavoratori per ogni anziano, oggi il numero degli attivi è già sceso a 6, con un costo pari al 30% del Pil. Solo la popolazione africana continua a crescere: al 2050, conterà per il 57% della crescita demografica mondiale e rappresenterà il 23 per cento della popolazione planetaria. Insomma: un quarto della popolazione sarà africana. E giovane.
Un dato che in Italia deve indurre a riflettere. Dai 56,6 milioni del 2020 scenderemo a 47,6 nel 2070, 12 milioni in meno in mezzo secolo. Nel 2048 i morti saranno il doppio dei nati. E nonostante le narrazioni allarmistiche, anche gli immigrati se ne vanno. “L’Italia – ha scritto Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera – non è invasa. Si sta spopolando”.