IL GIOCO DOVE TUTTI PERDONO 

IL GIOCO DOVE TUTTI PERDONO 

Gianfranco Coccia

C’è un gioco che, oltre a non divertire, potrebbe portare a una pericolosa ossessiva dipendenza: si chiama, come tutti ormai lo sanno, ludopatia – o gioco d’azzardo patologico – ed è una delle dipendenze più insidiose, silenti e sottovalutate del nostro tempo. Spesso l’amo che porta a questa patologia si materializza nella forma di un biglietto, il gratta e vinci, oppure nella scommessa sul risultato di un determinato evento sportivo, oppure ancora, in una serata tra amici davanti a una slot machine. Poi, gradualmente, questo gioco si trasforma in forma maniacale e compulsiva cui si fa estrema fatica a porvi rimedio: ed è così che il malcapitato soggetto, dopo essersi rinchiuso senza alcuna interazione sociale in una bolla atemporale, arriva a devastare la propria vita, le economie sia personali che della propria famiglia e a incidere sull’intero tessuto sociale.

Un vizio antico quanto l’uomo

Il gioco in generale e, in qualsivoglia forma esso viene praticato, ha origini lontanissime. Nell’antica Grecia si lanciavano i dadi; nell’Impero Romano i giochi d’azzardo erano talmente diffusi che furono proibiti più volte, ma senza successo. Nel Medioevo sono nate le prime lotterie organizzate dalle autorità locali per finanziare opere pubbliche. In tempi più recenti, il gioco ha cambiato forma, ma non sostanza: dalla roulette nei casinò ai moderni portali online, il meccanismo psicologico alla fine rimane sempre lo stesso, quello appunto azionato da una illusoria possibilità di vincita o di recupero di quanto precedentemente perso.

Da Dostoevskij ai campioni dello sport: nessuno è immune

Che il gioco d’azzardo possa trasformarsi in una prigione mentale non è un concetto nuovo. Fëdor Dostoevskij, nel romanzo “Il giocatore”, racconta in chiave autobiografica la spirale autodistruttiva del protagonista. Anche tra i personaggi pubblici non mancano i casi eclatanti che diventano di dominio pubblico: sportivi, attori, politici e imprenditori hanno ammesso di aver toccato il fondo a causa del gioco compulsivo. Alcuni hanno pure perso milioni, altri hanno compromesso il proprio ambito reputazionale, le proprie relazioni, addirittura le rispettive carriere. Ma la ludopatia non è un problema da vip: è stato stimato che solo in Italia oltre 1 milione di persone abbiano un rapporto problematico con il gioco e almeno 400 mila siano già in una fase clinicamente riconosciuta come patologica.

Lo Stato complice (e beneficiario)?

Uno degli aspetti più controversi è il ruolo delle istituzioni. Da una parte, lo Stato dichiara guerra alla ludopatia attraverso piani sanitari e campagne informative, mentre dall’altra promuove e gestisce un sistema di gioco legale da cui incamera valori notevoli sotto forma di tasse e oneri concessori. Diventa difficile, in questo allarmato contesto, non vedere una forma di sua complicità istituzionale: ed è così che alla fine le sale slot proliferano, i gratta e vinci spopolano persino nei tabaccai vicino alle scuole e la pubblicità – pur se parzialmente regolata – continua a insinuarsi ovunque, soprattutto quella online.

Un costo sociale altissimo

Il paradosso è evidente: ciò che porta risorse alle casse pubbliche, al tempo stesso produce danni enormi a carico del sistema sanitario e sociale. Infatti, la ludopatia ha un altissimo costo generalizzato, considerando cure, assistenza, perdita di produttività, assistenza legale, disgregazione familiare, indebitamento e fenomeni collaterali come l’usura. Le dipendenze patologiche da gioco non colpiscono solo i singoli giocatori, ma anche chi è loro vicino, minando così il cuore delle relazioni e della stabilità emotiva di chi ne è coinvolto, direttamente o indirettamente.

i soggetti più colpiti

Contrariamente a quanto si pensi, è stato accertato che non sono solo i disoccupati o le persone socialmente emarginate a cadere nella trappola del gioco. Il profilo del ludopatico è trasversale: giovani, attratti dai giochi online; anziani, spesso soli, fragili e, quindi, ineluttabilmente vulnerabili; donne, sempre più coinvolte specie nel gioco da casa; e, infine, ecco la categoria più esposta, proprio quella degli uomini tra i 35 e i 60 anni. Il gioco digitale ha poi accentuato il problema: l’accesso immediato, l’anonimato e l’uso diffuso di carte e strumenti di pagamento elettronici rendono più difficile la percezione dell’entità reale delle perdite.

Esistono rimedi?

La risposta è affermativa, ma essi richiedono coraggio politico, risorse e volontà totalizzante. I servizi territoriali per le dipendenze offrono percorsi terapeutici, ma sono spesso sottofinanziati e poco conosciuti. Le associazioni di auto-mutuo aiuto, come i Giocatori Anonimi, forniscono sostegno gratuito e discreto. A livello legislativo, si invocano da anni limitazioni più severe: distanziamento delle sale dai luoghi maggiormente sensibili, blocchi mirati sui siti di gioco online illegali, limiti di spesa, controlli digitali sull’età dei giocatori: ma senza una forte azione di prevenzione nelle scuole e un deciso cambiamento culturale, nessuna misura sarà davvero sufficiente.

Un cambio di paradigma è possibile?

Certo, specie se l’affrontare seriamente la ludopatia può significare un cambio di narrazione e di direzione: infatti, non si tratta più solo di un problema personale, ma di una questione morale, economica e sociale. Serve pertanto un modello alternativo, in cui lo Stato non lucri sulla dipendenza, ma investa su cultura, educazione finanziaria, coesione sociale. Ma serve, soprattutto, un’alleanza tra istituzioni, media, scuole, famiglie e realtà associative di largo respiro e vedute anche perché al gioco d’azzardo patologico ci perdono proprio tutti, non solo quei poveri diavoli che sono i giocatori.