AIUTO IL SUD SCOMPARE

AIUTO IL SUD SCOMPARE

Ricordiamo il 1974, l’anno della prima Giornata Mondiale della Terra con una nuova proposta di LION: “adottiamo” un borgo del nostro territorio.
DI PIERLUIGI VISCI

Ci piace ricordare, su questo numero primaverile di LION, un anniversario che i più hanno dimenticato. Parliamo del cinquantenario del 1974. Perché – diciamolo subito – quello fu l’anno della 1ª Giornata Mondiale dell’Ambiente. E l’Ambiente, la cura del nostro habitat, l’amore per i nostri territori, è da tempo uno dei temi principali che ci impegna come Lions. La proclamò l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in occasione della conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano, che si tenne nella capitale svedese dal 5 al 16 giugno 1972. Ed è per questo che la Giornata Mondiale dell’Ambiente, da allora, cade ogni anno il 5 giugno. La prima, nel ’74, appunto, fu ospitata dalla città di Spokane, capoluogo dell’omonima contea, nello Stato di Washington, a sud delle Montagne Rocciose. Lo slogan è sempre quello: “Only One Earth”, ovvero “Una Sola Terra”. L’ultima giornata dell’Ambiente si è tenuta l’anno scorso in Costa d’Avorio. L’Italia l’ha organizzata due volte: a Torino nel 2001, a Roma nel 2015, lo stesso anno dell’Expo di Milano che, non certo a caso, aveva per tema “Nutrire il Pianeta. Energia alla vita”.
Perché ricordare quel 1974? Oltre all’anniversario appena citato, perché fu un anno di speranze e di voglia di futuro, a metà strada di un decennio di tensioni locali e internazionali, che Paolo VI volle sintetizzare nel tema del 23° Giubileo della Chiesa cattolica, che Papa Montini aprì alla vigilia di Natale 1974: rinnovamento e riconciliazione. Da pochi mesi si era conclusa la sanguinosa guerra del Vietnam, che tanti animi aveva lacerato negli Stati Uniti e in tutto il mondo occidentale. Ed erano tornate alla democrazia, dopo anni di torbidi regimi autoritari, la Spagna, il Portogallo e la Grecia. E se in Italia si toccava il culmine della stagione eversiva e stragista (Brescia e Italicus) e l’inizio del terrorismo brigatista (sequestro Sossi e omicidi di Padova), si registravano momenti di grande creatività artistica, intellettuale, tecnologica.
Elsa Morante dava alle stampe “La Storia”, romanzo ancora oggi tra i best seller mondiali. Riccardo Cocciante cantava “Bella senz’anima” e Peppino Di Capri “Champagne”, ancora oggi successi evergreen. Ai botteghini spopolavano Manfredi, Gassman e Stefania Sandrelli con “C’eravamo tanto amati”. E l’ungherese Erno Rubik inventava il suo “Cubo” rompicapo e negli States si vendeva come il pane l’Altair 8800, il primo personal computer della storia dell’informatica realizzato da Intel. Era maneggevole, portatile e sufficientemente economico.
Anche allora il nostro habitat soffriva se si avvertiva globalmente l’esigenza di una “Giornata” per sensibilizzare coscienze individuali e pubbliche. Ed era già evidente negli anni ’60 e ’70 che gli obiettivi economici contrastassero con la tutela ambientale e che si potesse ottenere un ambiente più pulito soltanto riducendo la crescita economica. E che, ancora, fosse necessario e urgente dirottare gli investimenti per il controllo dell’inquinamento. Tra il ’68 e il ’74, in particolare, la “questione ambientale” entrò nelle agende delle democrazie occidentali. Ci vorranno ancora anni per una presa di coscienza diffusa: l’incidente nucleare di Chernobyl (1986) contribuì a scuotere l’Europa inducendola a prendere atto delle violenze ambientali in essere come gli scarichi di sostanze tossiche nel Reno. O, nel Nord America, l’inquinamento atmosferico e le piogge acide, fonte di controversie fra Stati Uniti e Canada. Nella seconda metà degli anni ‘70, il deterioramento della situazione economica mondiale e la grave preoccupazione per le riserve energetiche fecero apparire i sacrifici più gravi e meno facilmente tollerabili, e gli impegni per la tutela dell’ambiente furono ridotti. Dovremo attendere gli anni ’90 per la prima Conferenza ONU sulla salute della terra, che a Rio de Janeiro, finalmente, turbò le coscienze del mondo intero.
Quello che ci preme di sottolineare, ancora una volta, è il progressivo depauperamento demografico dell’Europa – da dieci anni in qua tutti i 27 Paesi UE registrano un numero di defunti superiore a quello delle nascite. Le proiezioni al 2050 dicono che tutta la popolazione europea (oggi di 546 milioni) sarà inferiore a quella della sola Nigeria e anche molto più vecchia. In Italia i dati ISTAT confermano la tendenza: al primo gennaio 2023, abbiamo registrato l’ottavo calo consecutivo delle nascite: ora sotto le 400 mila unità annuali, 393 mila per la precisione, a fronte di 713 mila decessi. Di conseguenza la popolazione: 58.983.122 residenti (di questi, più di 5 milioni sono di origine straniera), in calo di 253.091 unità. Nel 1974, il nostro anno di riferimento, erano 55,11 milioni (con pochi o rarissimi stranieri) contro i 53,42 della Francia, che dopo 50 anni tocca 67,75 milioni. Il tasso di fecondità delle donne italiane è sceso a 1,24 e l’età media del parto salito a 32,4 anni. Di certo continua a crescere la speranza di vita: 80,5 anni per gli uomini, 84,8 per le donne.
Si dirà: ma tutti gli studi concordano che l’eccessiva antropizzazione (presenza umana) del territorio aumenta il rischio ambientale. In realtà, secondo l’ultimo rapporto della Commissione Europea (5 giugno 2023) questo è vero fino a un certo punto. Analisi più recenti hanno registrato una diminuzione dell’inquinamento ambientale proprio nelle aree dove più alta è la concentrazione della popolazione umana. In ogni caso, anche il “gelo demografico”, come quello di cui soffre già pesantemente il nostro Paese, specialmente a Sud, è un rischio. E non solo economico.
Del disallineamento ai fini pensionistici abbiamo già parlato in altri interventi su LION, come pure di quello scolastico che ha prodotto la chiusura di scuole e la riprogrammazione di organici di insegnanti e interventi di edilizia scolastica. Un recente dato che fa impressione: all’ultimo anno delle scuole superiori sono attualmente iscritti circa 900 mila studenti. Entro 18 anni il numero dei diplomati in Italia si ridurrà della metà e non sapremo più come coprire le necessità di lavoro qualificato.
In questo quadro, la condizione in cui versano certe “aree interne” (che non vuol dire lontane dal mare, ma periferici in termini di servizi essenziali: salute, istruzione, mobilità) del nostro Mezzogiorno (e non solo) è sconvolgente. È il caso di città come capoluogo Matera (nel 2019 quarta città italiana capitale europea della cultura) oppure località costiere come Termoli. E nessuno penserebbe che anche Cernobbio, cittadina settentrionale tra le mete più gettonate per appuntamenti culturali e politici nazionali e internazionali, soffre degli identici problemi comuni al Molise e alla Basilicata.
Il dato vero è che il 58% del territorio nazionale è collocato in comuni definiti “aree interne” dove risiede (ma ci vive pure?) appena il 22,7%, meno di un quarto, della popolazione. Circa 13 milioni. La regione con il più forte livello di spopolamento (un tasso di crescita inferiore a -4 per mille annuo) è la Basilicata, con il 60% del territorio interessato e 90 comuni su 131. Se ne sta parlando in campagna elettorale? Segue il Molise: 60,35% del territorio e 82 comuni su 136. E, ancora, la Calabria: 68,45% e 256 comuni su 404. All’opposto il Trentino-Alto Adige (50% dei comuni con una crescita demografica superiore al 4 per mille e 141 comuni su 282) e l’Emilia Romagna (identico 50% e 164 comuni su 328). Non è un problema solo meridionale: anche la Liguria soffre, con il 29% dei comuni in forte spopolamento. D’altronde, l’Italia perde un milione di residenti ogni 3-4 anni. Peraltro i residenti ufficiali nei piccoli comuni sono spesso solo nominali, sovente per meri interessi fiscali. Spopolati e tanto vecchi. Il Molise conta il 51,5% dei comuni con popolazione anziana, seguito da Liguria (50,4%) e Abruzzo (40%).
La carenza dei servizi è un problema serio perché non coinvolge solo comuni con bassa densità abitativa, ma anche comuni con una consistenza molto alta: ci sono otto comuni che contano più di 50 mila residenti e sono privi dei servizi essenziali. Il caso più clamoroso è quello di Gela con 72 mila abitanti (classificato come periferico) o quello di Altamura, in Puglia, 70 mila abitanti. E, ancora in Sicilia, il comune di Vittoria, 62 mila abitanti e senza un ospedale. Matera, Nuoro ed Enna sono periferici perché non hanno una stazione ferroviaria e Isernia, uno dei due capoluoghi molisani, senza ospedale.
Questi elementi di fatto possono essere utili per capire le ragioni che al Sud mobilitano le maggiori diffidenze rispetto alla riforma delle Autonomie differenziate che il Parlamento si accinge ad approvare definitivamente. Se le carenze di servizi sono oggi così accentuate, figurarsi quando se ne dovranno occupare governi regionali con minori risorse da investire in comuni con pochi abitanti. E ancor meno elettori.
Cosa possiamo fare noi Lions? Non siamo stati abbastanza visionari quando, dalle pagine di LION, abbiamo lanciato la campagna “Tre alberi per salvare il Pianeta”. Forse questa è un po’ più hard: “adottiamo” un borgo spopolato del nostro territorio. Ci possiamo pensare?