QUEL DIRITTO AL PAESAGGIO COSÌ ANTICO, COSÌ ETERNO

QUEL DIRITTO AL PAESAGGIO COSÌ ANTICO, COSÌ ETERNO

Il trentennale della Legge sui Parchi (394/1991) richiama all’attenzione dell’ambientalismo il ruolo che dal XVII secolo a oggi ebbero visionari precursori come il Principe Corsini, Papa Clemente XII, Ferdinando II di Borbone e Benedetto Croce, autore della prima legge di tutela ambientale dell’Italia unita. E con loro rilanciamo la nostra proposta dei “Tre alberi per salvare il Pianeta”. Di Pierluigi Visci

Nel dicembre scorso, quando non si era ancora spenta l’eco della contraddittoria Cop26 di Glasgow, l’ambientalismo italiano celebrava il trentennale della legge-quadro sulle aree protette (394/1991), ovvero Legge sui Parchi. Una normativa complessa e travagliata che, con 43 anni di ritardo, dava attuazione agli articoli 9 (tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico) e 32 (diritto alla salute) della nostra Costituzione. Dettava “principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese”.
Al tempo l’Italia scoprì l’ambientalismo anche sull’onda emozionale del disastro (1986) della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, allora Unione Sovietica. Si svilupperà un lungo e appassionato dibattito sull’introduzione, per via referendaria, del nucleare, che quell’esplosione nella lontana Ucraina orientò per il no (che tuttora pesa sulle scelte energetiche nazionali) e, verosimilmente, agevolò l’approvazione della legge sui parchi. Peraltro, trent’anni fa, il nostro Paese era molto arretrato nella tutela delle bellezze naturali ed esistevano solo 5 parchi nazionali: Gran Paradiso, d’Abruzzo, del Circeo, dello Stelvio e del Ticino. I primi 4 istituiti tra il 1922 e il 1935, il quinto dalla Lombardia nel 1974, subito dopo l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario. Solo lo 0,6 del territorio nazionale godeva di tutele ambientali.
Dopo 30 anni, stando ai dati più aggiornati di Federparchi, si contano 3.866 aree sotto protezione ambientale, circa il 12-13% del territorio nazionale. Per quanto riguarda le acque territoriali, la protezione tocca appena il 4,53%, di cui solo l’1,67% effettivamente gestito, stando al WWF. I parchi nazionali ora sono 25, 146 quelli regionali e 32 le aree marine protette. A questi si aggiungono parchi locali, riserve regionali, oasi e altre aree sottoposti a vincoli ambientali sotto l’egida dello Stato, delle Regioni o delle autonomie locali sulla base di progetti e con finanziamenti europei. C’è ancora molto da fare, tanto nella qualità dei controlli e della lotta a inquinatori, speculatori e abusivisti, quanto della gestione equilibrata di territori e specie di fauna e flora a rischio di estinzione. In ogni caso siamo ancora lontani dall’obiettivo del 30% di territorio e aree marine protette così come fissato dall’Unione europea all’anno 2030 per ciascuno dei Paesi UE.
Certamente, comunque, non siamo più all’anno zero. Grazie a quella legge del ’91 (aggiornata nel 2020) e alla crescita costante di educazione, informazione e cultura ambientaliste a tutti i livelli sociali. E se ai tempi della nascita del Parco d’Abruzzo, giusto un secolo fa, i pastori locali non capivano perché una legge dovesse proteggere i lupi che sbranavano le pecore e devastavano i pollai e non pastori e contadini danneggiati, col tempo è stato evidente che gli indennizzi avevano ampiamente compensato le razzie e tutta l’economia del territorio si era sviluppata grazie al turismo. Presupposto e intuizione originaria degli antichi ideatori di quella tutela ambientale, volta al benessere complessivo degli abitanti. Si porta ad esempio il piccolo centro di Civitella Alfedena, per lungo tempo accreditato del record nazionale dei depositi bancari.
D’altronde, la sensibilità ambientalista in quelle contrade, specie nel Mezzogiorno d’Italia, è di antichissima data e tra le prime al mondo, con avanguardie costituite da illuminati possidenti e intellettuali. Se è vero che il primo parco nazionale al mondo fu istituito nel 1872 a Yellowstone nel Wyoming (Usa), mentre in Italia dovremo attendere gli Anni ’20 del XX secolo, è altrettanto vero e documentato che il primo atto giuridico al mondo in materia di tutela del patrimonio naturale fu emanato nella Sicilia di Carlo III e risale alla prima metà del 1700. Porta la firma di Bartolomeo Corsini, Principe di Gismano, fiorentino di nascita, viceré di Carlo Sebastiano di Borbone, re di Napoli e re di Sicilia prima di sedere sul trono di Spagna. Con decreto del Tribunale dell’Ordine del Real Patrimonio di Sicilia, il 21 agosto 1745, il Vicerè Corsini pose sotto tutela ambientale il Castagno dei Cento Cavalli della contea di Mascali (oggi comune di Sant’Alfio) e le antichità di Taormina. Quei castagni, longevi di duemila anni, costituivano il bosco del Carpinetto sull’Etna e tuttora sono iscritti nel codice dei Beni culturali e del Paesaggio del demanio indisponibile della provincia di Catania. Peraltro, proprio su questa primogenitura si è sviluppata una contesa dialettica con l’Unione Europea che ha decretato il 24 maggio Giornata europea dei Parchi, per ricordare il giorno del 1909 in cui il Parlamento svedese istituì le prime aree naturalistiche protette nel nostro Continente. Ignorando, evidentemente, che i Castagni di Mascali erano protetti 154 anni prima delle oasi scandinave.
In quegli stessi anni del XVIII secolo, peraltro, sotto Papa Clemente XII (1730-1740), al secolo Lorenzo Corsini, zio del Principe di Gismano, il cardinal Albani stabilì per decreto il principio del “pubblico decoro” e la conservazione di opere illustri di scultura e pittura, specie le più antiche. La finalità era quella di “incitamento a’ forestieri di portarsi alla medesima città per vedere e ammirare”. Era il turismo, che da allora ha sempre unito le bellezze: quelle storico-artistiche e quelle naturalistiche. Fu allora (1733) che venne sancito il principio che la conservazione delle opere d’arte (nel 1734 fu creato il Museo Capitolino) era finalizzata al decoro pubblico. E per opere d’arte si intendevano i beni territoriali, inclusi quelli naturali.
Queste ed altre notizie di carattere storico – culturale, con particolare attenzione al Regno di Napoli, materia di una fondamentale Storia pubblicata da Laterza, furono oggetto di ricerche del filosofo, storico e politico abruzzese Benedetto Croce, promotore (1920) della prima legge dell’Italia unita “per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, nella sua qualità di ministro della Pubblica Istruzione del quinto e ultimo governo di Giovanni Giolitti. Quella legge proclamava il diritto dei cittadini al Paesaggio e alle Bellezze naturali (che ritroveremo nella Costituzione repubblicana del ’48), già sancita da Ferdinando II di Borbone, primogenito di Carlo III, nel Rescritto del 19 luglio 1841.
Il 25 settembre 1920 Croce presentava in Senato il disegno di legge n. 204 (legge 11 giugno 1922, numero 148, primo governo di Luigi Facta, con il popolare Antonino Anile ministro della Pubblica Istruzione), con un discorso che è una pietra miliare dell’ambientalismo italiano. “Perché – si chiedeva Croce davanti ai colleghi senatori del Regno di Vittorio Emanuele III – difendiamo, per il bene di tutti, quadri, musiche e libri, e non difendiamo le bellezze della Natura?”. In quel discorso indimenticabile toccò tasti di squisito lirismo. Come questo: “Certo, il sentimento tutto moderno, che si impadronisce di noi allo spettacolo di acque precipitanti nell’abisso, di cime nevose, di foreste secolari, di riviere sonanti, di orizzonti infiniti deriva della stessa sorgente, da cui fluisce la gioia che ci pervade alla contemplazione di un quadro dagli armonici colori, all’audizione di una melodia ispirata, alla lettura di un libro fiorito d’immagini e di pensieri”. In quel discorso (che si trova integrale sul web sotto la testata Ecologia liberale) c’è una lezione di ambientalismo tuttora attuale, con un excursus storico che svela la prima protesta ecologista della storia, che ebbe per protagonista un certo Ruskin, inglese, nel 1862. La profonda cultura naturalistica spinge Croce a porre sullo stesso piano paesaggio e patriottismo, giacché “anche il patriottismo nasce dalla secolare carezza del suolo agli occhi”. E questo, altro non è, “che la rappresentazione materiale e visibile della Patria”.
Un maestro di ambientalismo, d’altronde, don Benedetto ce l’aveva in casa, in quel Palazzo Sipari, sito in quello che oggi, a Pescasseroli, è Largo Benedetto Croce, in cui era nato all’alba (1866) dell’Unità nazionale. Fu suo cugino Erminio Sipari, proprio in quel 1920, a donare i primi terreni (nella zona di Opi) che pose sotto vincolo paesaggistico. Fu il primo embrione del Parco Nazionale d’Abruzzo, istituito per legge nel ’23, in realtà inaugurato “privatamente” da Sipari e Croce (che ne scrisse il manifesto programmatico) il 9 settembre del ’22. Si sarebbe compiutamente sviluppato in quella che era stata la Riserva Reale Alta Val di Sangro, riserva di caccia dei sovrani Savoia, che se ne erano disfatti nel 1913. Una decisione che poneva a rischio di estinzione il camoscio d’Abruzzo (i 40 esemplari del 1890 diventarono 2000 nel 1991) e l’orso bruno marsicano, fino ad allora protetti di fatto dal divieto di caccia. Gli stessi Savoia, nel 1919, donarono i terreni per la creazione del Parco Nazionale del Gran Paradiso, in un territorio di 71 mila ettari tra le province di Torino e di Aosta, intorno al massiccio del Gran Paradiso. Il Parco nacque formalmente il 3 dicembre 1922.
Da questi uomini di ingegno, cultura e sensibilità, pervasi di visioni e utopie, furono poste le basi di un naturalismo che dal XVIII secolo in poi ci ha condotti all’articolo 9 della Costituzione, che “tutela il paesaggio” e lega l’ambiente naturale al “patrimonio storico e artistico della Nazione”. Che erano titolo e principio della “legge Croce” del 1922, cui il filosofo di Pescasseroli contribuì nell’Assemblea costituente.
Il passo ulteriore è di questi giorni, con l’approvazione ormai imminente della pdl costituzionale, che al generico ambiente aggiunge la “biodiversità e gli ecosistemi”, vincolando l’impegno all’interesse delle future generazioni. Modifica anche l’articolo 41: la libertà dell’iniziativa economica privata non può “recare danno … all’ambiente, alla salute, alle libertà, alla dignità umana”.

Con la nostra modesta proposta dei “Tre alberi per salvare il Pianeta”, nel nostro piccolissimo, ci iscriviamo alla categoria dei visionari e utopisti dell’ambiente.