FARE IL BENE FA BENE?

FARE IL BENE FA BENE?

Viaggio alla scoperta delle connessioni a livello fisico, mentale, emotivo tra buone azioni e benessere individuale. Può essere un gesto istintivo, immediato, oppure un’attività di squadra a cui ci si dedica con costanza. Molti sono i modi, molte le occasioni di fare del bene. Altrettanto vale per il male. Ma poiché tutto quello che facciamo, nel bene e nel male, crea dentro e intorno a noi effetti secondari, è legittimo chiedersi se esista una connessione tra le nostre azioni e il nostro stato psico-fisico. Di Rita Cardaioli Testa


Fare il bene fa bene? È la domanda che il Coordinatore dell’Accademia del Lionismo del Distretto 108 Ta3Loris Fasolato ha posto agli ospiti del 6° Workshop, che si è tenuto lo scorso 23 ottobre nella sede della Fondazione “Luigi Marchitelli” e in streaming.Dopo il saluto del governatore Giovanni Nardelli, è intervenuto il presidente del Centro Servizi Volontariato della provincia di Padova, Emanuele Alecci, che ha introdotto il tema partendo dalla “rete micorrizica”. Quando le radici di due piante vicine sono colonizzate da uno stesso fungo – ha spiegato Alecci – le piante riescono a dialogare attraverso questa rete condivisa di filamenti vegetali, a scambiarsi acqua, nutrimento e anche segnali di pericolo. Quanto più la rete è estesa, tanto meglio vive foresta. “Questo è il volontariato – conclude Alecci – una rete che fa stare meglio la comunità, preziosa, infestante come le fragole. Il volontariato non ha bisogno di riconoscimenti, però è importante che diventi Patrimonio immateriale dell’Umanità, perché bisogna metterne in evidenza il valore. Dobbiamo poi fare in modo che anche gli imprenditori e gli amministratori pubblici indossino gli occhiali del volontariato perché possano vedere le cose in modo diverso”.Paola Rigo, ricercatrice nel Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e Socializzazione dell’Università di Padova, parla della “cura dell’altro” come funzione genitoriale, non necessariamente biologica ma intesa come capacità umana. Siamo intrinsecamente intersoggettivi – spiega – e un incontro non è mai neutro, ci fa risuonare emotivamente nei confronti dell’altro. “La cura dell’altro – dice la Rigo – è anche cura di sé. È  dimostrato che il decentramento dalla propria persona riduce la depressione, porta ad una maggiore consapevolezza di ciò che si ha, ci fa riconoscere in altri contesti. Dal punto di vista fisico aumenta la longevità, riduce le malattie e il dolore cronico, favorisce la salute mentale. Tutto questo ha una spiegazione scientifica. Il comportamento altruistico attiva diverse aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, come il “sistema di ricompensa” (strutture neuronali che attivano motivazione ed emozioni positive) e la metacognizione, cioè la capacità di riflettere sulla percezione di sé e dell’altro, permettendoci di anticipare i propri e gli altrui comportamenti”.Vincenzo Milanesi, che è stato docente di Filosofia morale nell’Università di Padova e dal 2002 al 2009 ne è stato Rettore, dopo aver avvisato il pubblico che “la filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale tutto resta uguale”, cerca nella storia della filosofia risposte alla domanda: “Cos’è il bene? Cos’è il bene della società?”.Per Platone, padre della metafisica occidentale – spiega Milanesi – il mondo reale non è che una pallida immagine del mondo delle idee, archetipi del bene, del vero, del giusto. Per Aristotele invece il mondo ha in sé un ordine incompiuto, un ideale dunque verso il quale tende ogni nostra azione, concetto questo che verrà condiviso dal Cristianesimo. Nell’età moderna il mondo viene invece percepito come una macchina che funziona obbedendo a leggi fisiche, senza tendere a nessun fine. Di questa macchina l’uomo è una piccola parte, una rotellina dell’ingranaggio, preoccupato solo di cercare il piacere e fuggire il dolore. Il bene è ciò che è utile. Sarà Kant – continua Milanesi – a richiamare ad una regola di comportamento, l’imperativo categorico, che deve valere per tutti in una prospettiva di eguaglianza e giustizia. Ma ciò che è giusto non basta, serve il bene. Con Hume (siamo nel Settecento) la filosofia si apre all’analisi del sentimento, che connota l’uomo più della stessa ragione. Il bene – conclude Milanesi – è saper provare le emozioni degli altri, saper “soffrire insieme” (questo è il significato etimologico della parola “simpatia”). Al giusto devono pensare le istituzioni, al bene i singoli cittadini, che devono essere educati a questo”. Sono di Emanuele Aletti le conclusioni. Il presidente del CVS padovano richiama alla necessità di un volontariato formato e competitivo, fatto – sottolinea – non di imprenditori sociali, ma di persone con le loro diverse competenze e il loro cuore. Non possiamo fare a meno del progresso e della scienza, ma nemmeno di quella “cura” che è il dono del volontariato, che è l’accoglienza, l’abbraccio, l’ascolto… che fanno star bene chi li riceve e chi li dà”.