È stato un anno duro, difficile, di introspezione, di crisi, di dolore diffuso. Un anno dal sapore biblico, in cui un angelo di vendetta ha bussato a numerose porte producendo tragedie, strappando affetti, squarciando veli di normale vita quotidiana. Ha sommerso le case delle nostre esistenze di acque torbide e fangose come quelle delle inondazioni, cui seguono rabbia e dolore. Di Caterina Eusebio
Ed eccoci qui, oggi, iniziandi nei percorsi informatici che ci han fatto progredire mentre, timidi e schivi, porgevamo la mano alla scienza, l’unica in grado di darci rassicurazioni. Ma anche di essa ne abbiam scoperto limi-ti e contraddizioni. Nulla è illusoriamente integro dopo quest’anno. E, come ogni cosa, anche le associazioni cam-biano, si adattano per continuare a vivere e cercano una so-luzione, sperando nella temporaneità d’essa e nel ripristino di ciò cui eravamo abituati: “la dolce vita”.
Siamo a fine anno e ogni evento è on line, mentre noi ci alleniamo con finta e social-disinvoltura a danzare tra le varie piattaforme che abbiamo imparato a gestire (connes-sioni permettendo), come maestri virtuosi e scolari attenti. I nostri service sono cambiati: dal contemplativo e socia-le, visto come luogo di incontro e socializzazione, siamo passati ad una dimensione più pratica, forse più intima e diretta, ed abbiamo anche recuperato quella culturale della diffusione delle informazioni e del dibattito del quale, negli ultimi anni, ci lamentavamo che si fosse omologato, così come il pensiero si era annoiato.
Forse ne stiamo uscendo. Stiamo riprendendo fiducia nella nostra identità, nelle nostre forze, nella nostra determina-zione ad esserci, non come palliativi sussurranti ma come forza d’opinione con un preciso ruolo sociale, che la vanità di alcuni aveva offuscato in onore dei palcoscenici dell’e-go, idolo traditore che si adora in segreto, cui da sempre la vanità, che è l’abituccio scadante di un malato amor pro-prio, reca offerte di squisita ottusità.
Che cosa siamo diventati? Ma, più che altro, cosa e come cambieremo? Una domanda che fa paura ai molti, che non sento porsi ad alta voce, ma che leggo negli occhi disorien-tati di molti di noi. Vorrei rispondere, in primis a me stessa, che il cambiamento è in noi, siamo noi, che tutto cambia, ahimè anche con dolore; che come diceva Eraclito “pan-tharei”, che non ci si bagna mai nelle acque di uno stesso fiume due volte, che la vita scorre con le sue esperienze co-me un pellicola cinematografica o le pagine di un romanzo, che nella mente sono i ricordi.
La vita è impeto e l’impeto è creatività, immaginazione, il “vedere nella vita delle cose” (S.T. Coleridge), la ricerca di creare “il migliore dei mondi possibili” (Candido) e contri-buire a creare la migliore delle società possibili (un Lion). Ad mayora, dunque, mès frères!