Disabilità…

Disabilità…

L’importanza di usare le parole giuste

“Disabilità: il giusto linguaggio”. Capita spesso di trovarsi in difficoltà (imbarazzo?) quando si è a contatto con una persona “disabile”, o si affronta un argomento tanto delicato quanto fondamentale per una società davvero moderna, che vuole abbattere le barriere socio-culturali, porre le persone tutte sullo stesso piano e con gli stessi diritti, anche per il contributo ugualmente importante che possono dare al miglioramento della comunità, mettendo a disposizione risorse ed opportunità che non devono rimanere nascoste. Di Tarcisio Caltran

Ma quali sono le parole più adatte per definire la disabilità, per informare correttamente sulle particolari condizioni di una persona? Qual è il linguaggio più corretto per entrare in sintonia con chi deve fare i conti in ogni mo-mento con problemi più o meno gravi? L’argomento è stato affrontato nel corso di un incontro organizzato dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto nell’ambito degli eventi di for-mazione professionale cui devono sottoporsi annualmente gli iscritti.
Tra le relazioni ha destato grande interesse quella del gior-nalista del Corriere della Sera online Antonio Giuseppe Malafarina, il quale, dopo aver ricordato che la disabilità esiste da sempre (“Il primo uomo disabile di cui si ha trac-cia – homo heidelbergensis – risalirebbe a 500 mila anni fa.”), ha fornito una serie di risposte puntuali, partendo dal-la definizione della disabilità, che assume valori diversi a seconda delle situazioni. Qui il linguaggio gioca un ruolo molto importante, contribuendo a rendere l’ambiente ostile o favorevole.
La disabilità nasce con l’uomo, è parte della storia umana, anche se ha suscitato approcci differenti a seconda dei vari periodi storici. In effetti, l’approccio alla disabilità negli anni ha seguito un percorso non lineare, condizionando di volta in volta la vita di milioni di persone.
Come ci si deve porre dunque di fronte alla disabilità? Senza alcun dubbio al centro di tutto va evidenziato il concetto di “persona”, che in quanto tale ha diritto al rispetto dovuto a tutti; la disabilità non è una malattia, è una “condizione di salute di una persona in un ambiente sfavorevole”. Occorre sempre ricordare che la persona non è la sua disa-bilità. Pertanto nei rapporti interpersonali è fondamentale seguire alcuni comportamenti troppo spesso ignorati…

• Rivolgersi direttamente alla persona e non all’accompa-gnatore (dove possibile).
• Usare parole del linguaggio comune; non escludere a priori argomenti tabù.
• Non considerare incapace di intendere colui il quale ha difficoltà a comunicare.
In ogni caso, è opportuno non fare ricorso a termini che risultino poco graditi, quali: handicap o handicappato, disabile, portatore di…, affetto da disabilità, diversa-mente abile, sordomuto (termine abolito anche dalla leg-ge 95/2006), anormale, poverino, sfortunato, infelice e quant’altro, persona Down.
La terminologia più corretta da usare è invece: persona con disabilità o persona disabile, ciechi, sordi o paraplegici (ma al plurale), carrozzina, persona con sindrome di Down, di Asperger o altro, Persona con disturbo mentale.
In definitiva si tratta di semplici attenzioni che tuttavia per-mettono all’altro di sentirsi a proprio agio, è il concetto di “persona” che deve sempre essere messo al primo posto nei rapporti sociali, mettendo tutti sullo stesso piano. La definizione più appropriata per tutte queste persone è dun-que quella di “persona con disabilità”.