I Grandi della Terra impegnati a piantare mille miliardi di alberi entro il 2030. Un progetto per tutti: Stati e aziende, pubblico e privato. E per la società civile, ossia per noi. Lion propone di partecipare al programma con 100 alberi per ogni Club per nove anni. Lasciamo anche noi “orme profonde di gentilezza”. Di Pierluigi Visci
“Riconoscendo l’urgenza di combattere il degrado del suolo e creare nuove vasche di assorbimento del carbonio, condividiamo l’obiettivo ambizioso di piantare collettivamente 1.000 miliardi di alberi, concentrandoci sugli ecosistemi più degradati del Pianeta”. Poche, semplici, importanti parole della dichiarazione finale del G20 (che riunisce le venti economie più importanti del Pianeta) di fine ottobre a Roma, che ha lasciato il testimone alla conferenza sul clima di Glasgow (COP 26), dove l’impegno è stato confermato dai 190 Paesi partecipanti. L’appello dei Grandi è rivolto ai governi che – ovviamente – si devono far carico di responsabilità collettive, al “settore privato” (le aziende piccole e grandi) e alla “società civile”.
Ecco, la “società civile”. La società civile siamo noi, siamo (anche, direi soprattutto) noi Lions. Ci piace ricordare che siamo la più importante organizzazione di servizio al mondo, che abbiamo dato innumerevoli prove di poter e saper intervenire a sostegno delle comunità nei momenti di crisi, difficoltà, emergenza. Pensiamo alle catastrofi naturali, alle sciagure collettive, ai devastanti terremoti, alle tumultuose inondazioni. Noi ci siamo stati e ci siamo sempre. E l’ambiente che collassa? È l’emergenza delle emergenze. La catastrofe della Natura cui ogni cittadino, ogni consumatore, ogni automobilista, ogni contadino, ogni operaio deve porre mano. È iniziata ieri e pone l’urgente, non più rinviabile obbligo morale e materiale di intervenire, con iniziative anche radicali, comunque a brevissimo, immediato termine. Una prima scadenza è fissata al 2030. La seconda, e forse definitiva, al 2050. Che è domani, anche se verosimilmente le vivranno i nostri figli e i loro figli, nipoti che potremmo non conoscere. Dobbiamo impegnarci per la prima, pensando già alla seconda. Che è, ripeto, domani. Insisto: quale emergenza è più grave e assillante del tracollo ambientale che stiamo già vivendo?
Ed allora, prima di capire meglio di cosa stiamo parlando, anche delle criticità di questo colossale progetto di riforestazione, è giusto e urgente pianificare il nostro impegno. Concretamente. In Italia, attualmente, siamo 38.800 Lions in 1.356 club. Se ogni Club piantasse, in media, 100 alberi ogni anno avremmo creato un salutare boschetto di 135.600 alberi. In nove anni, una foresta di 1.220.400 nuovi tronchi. Ogni socio si caricherebbe di un onere annuale di 3 alberi e mezzo, 31 in 9 anni. In termini economici, probabilmente, sarebbero circa 30 euro l’anno, poco più di 300 in nove anni. Possibile? Francamente, noi Lions siamo capaci di questo e altro. E ci rimarrebbe tanto spazio di intervento per tutti i service dei quali ordinariamente ci facciamo carico. Peraltro, i nostri alberi verrebbero piantati in accordo con le amministrazioni locali, nei nostri territori, rafforzando quel vincolo di partecipazione ai bisogni delle comunità in cui viviamo e operiamo.
Anche a livello d’immagine, sarebbe un’operazione di cui essere orgogliosamente protagonisti. Orgogliosamente Lions. Per lanciare e monitorare l’iniziativa potremmo dar vita a incontri pubblici – a livello di Club, di Zona, di Distretto – ai quali invitare esperti e amministratori pubblici, portare avanti l’idea e il progetto, aggiornare programma e obiettivi. Dare concretamente il segnale, a chi ci conosce poco o niente oppure ha un’immagine opaca o distorta del nostro mondo, di cosa sanno fare e fanno i Lions. E chissà che nelle nostre comunità qualcuno non ne venga contagiato, colpito, incuriosito e colga il segnale per chiedere di partecipare entrando a far parte del nostro Club, che necessita di nuova linfa. Soprattutto di giovani, certamente i più sensibili alle tematiche ambientali, come dimostra il movimento globale promosso dalla generazione Greta. Lion, poi, si porrebbe ancora di più come strumento di comunicazione a disposizione di singoli Club e Distretti, come sempre d’altronde, per raccontare le esperienze che maturano in ogni comunità Lions, di come nascono e crescono nel tempo. Nove anni sono un bel tratto di strada da fare e poi, chissà, procedere ulteriormente. Sono decenni che portiamo avanti l’impegno di raccolta e distribuzione di occhiali o di donazione di cani-guida per le persone che hanno difficoltà di ogni genere. Perché non impegnarci ulteriormente e concretamente anche per il nostro ambiente, nelle nostre comunità? Quale service migliore che contribuire a salvare il futuro dei nostri figli, che a Glasgow hanno alzato la voce, scettici e arrabbiati, soprattutto delusi da noi adulti, dai loro genitori?
Ecco, questa è la nostra modesta proposta. Qualcuno, forse, ci ha già pensato. Qualche Club magari l’ha già fatto. Bene. Fatecelo sapere: Lion è pronto a raccontarlo e a rilanciare tanti sassi negli stagni che ci circondano. Aspetta sollecitazioni, contributi di idee, proposte concrete. E da cosa nascerà cosa. Soprattutto, in questo colossale e globale impegno per salvare il Pianeta (per chi ci crede, ovviamente) quello che si fa non è mai tutto, ma sicuramente non sarà mai poco. L’idea è folle: ma se contagiasse allo stesso modo, nel mondo, tutto il movimento Lions, sulla Terra crescerebbero 372 milioni di nuovi alberi, lo 0,37 dell’obiettivo dei mille miliardi di alberi. Sembra un battito di ciglia, invece sarebbe tantissimo. Come direbbe lo Zaia di Crozza, pensiamoci su.
Perché mille miliardi di alberi? Non è un dato buttato lì a casaccio, non è una cifra per fare spettacolo o emozione. È il risultato di uno studio molto serio pubblicato su Science nel 2019, una ricerca del team del Crowther Lab sull’enorme potenziale di sequestro di carbonio che operano le piante. E piantare mille miliardi di alberi avrebbe parzialmente risolto la crisi climatica. Negli ultimi due secoli – riferisce Stefano Mancuso, botanico e docente di albericoltura all’Università di Firenze – sul Pianeta abbiamo tagliato duemila miliardi di alberi. Le conseguenze non riguardano solo il minore assorbimento di CO2, ma soprattutto il decremento delle specie che vivono intorno agli alberi. Cosa succederà? Che nel 2070 “non ci saranno più pesci al di fuori di quelli allevati: questo è lo stato della biodiversità del nostro Pianeta”, scrive Mancuso. D’altronde, secondo l’Università di Cambridge, l’80% degli animali che vivono sulla Terra è bestiame da allevamento, mentre l’85% degli uccelli è pollame per uso alimentare. È più che urgente, dunque, operare una radicale conversione biologica.
Prima di riforestare con mille miliardi di alberi sarebbe indispensabile impedire la deforestazione, anche perché gli alberi maturi, sempre secondo gli esperti, svolgono meglio la loro opera di depuratori dell’aria, grazie alla loro funzione di estrazione di carbonio dall’atmosfera. Nel XVIII secolo le foreste coprivano il 37% della superficie abitabile. Progressivamente, per le esigenze alimentari, abbiamo tagliato 1 miliardo e 800 milioni di ettari di foreste. Come se fosse sparito l’equivalente di due volte gli Stati Uniti d’America. Il picco della deforestazione l’abbiamo raggiunto negli anni ’80 del secolo scorso, appena 40 anni fa, con 150 milioni di ettari (metà dell’India). Poi è iniziata una lenta riduzione della distruzione: 78 milioni negli anni ’90, 52 milioni nel primo decennio del XXI secolo, 47 milioni nel secondo decennio. L’aumento della popolazione è una minaccia, perché fa crescere – Foresta Amazzonica docet – la domanda di terreni per l’agricoltura. Ecco perché è arrivato il momento di fermarsi, riflettere, agire. Cominciando col finanziare le popolazioni indigene che sono i primi conoscitori e custodi del loro ambiente.
Il 21 novembre, è stata celebrata la Festa dell’albero. Non tutti sanno che fu istituita nel 1899 dal professor Guido Baccelli, medico, docente universitario, per sette volte ministro della Pubblica Istruzione e una ministro dell’Agricoltura e anche, per trent’anni, presidente del Consiglio Superiore di Sanità. Baccelli allora scriveva: “La Festa degli alberi è la vera e propria festa del popolo; è la festa che lascia orme profonde di gentilezza, facendo assurgere ad un dovere sacro e supremo il concetto della conservazione delle selve, poiché è materia di ordine sociale ed economico, poiché offre al popolo salutari ammaestramenti di civiltà e di progresso”. Quale modernità in queste parole pronunciate da un uomo illuminato che serviva l’Italia nei governi di Cairoli, Depretis, Crispi, Pelloux, Salandra. Per noi, solo pagine di storia post risorgimentale.
E noi, come il professor Baccelli, saremo capaci di lasciare “orme profonde di gentilezza”?