Nel 1957 avevo 13 anni e facevo la seconda media, quandoin Italia, ma anche nel mondo, scoppiò l’Asiatica che fu una pandemia influenzale di origine aviaria che fra il 57’ ed il 60’ fece circa due milioni di morti di cui (sempre circa) 5.000 anche in Italia. Fu causata dal virus A/Singapore/1/57, isolato per la prima volta in Cina (la storia si ripete) nel 1954. Nello stesso anno fu preparato un vaccino che riuscì a contenere la malattia.
Questa forma influenzale si manifestò stagionalmente fino al 1968. Anche in quel caso le autorità chiusero la scuole ma la vita continuò egualmente come sempre: la gente andava a lavorare e, purtroppo, qualcuno, anzi parecchi, morivano in casa, nel silenzio più assoluto.
Io fui mandato in esilio (in quarantena ma mica tanto) dove i miei avevano una piccola tenuta agricola gestita allora dai mezzadri. Non ho mai avuto questa forma influenzale perché nel mio caso io, quando scoppiò la pandemia non ero a scuola, mi trovavo già a casa perché avevo fatto una indigestione, più che altro intossicazione alimentare, avevo infatti mangiato di nascosto una scatoletta – 250 grammi – di antipasto (tonno e verdure varie). Naturalmente la colpa era mia perché ne feci una scorpacciata tale che passai la notte a storcere le maioliche in bagno e a riportare alla luce tutto quello che avevo nello stomaco.
Quindi a letto con questa indigestione, ma appena si seppe delle scuole chiuse a causa del virus, i miei mi spedirono in campagna, anzi in collina in quel di Cadezzano, un minuscolo villaggio in Val del Rile in comune di Rivanazzano. Era primavera inoltrata e, quindi, con gli altri ragazzini del villaggio si organizzava di tutto: dalla costruzione di capanne nel bosco, la ricerca di nidi, corsa con le carriole piacentine con le bambine come passeggero ed altre mille cose. Altri tempi, altri mondi, come se la cosa non ci toccasse e neanche ne eravamo consapevoli.
Invece il 23 febbraio di quest’anno mi trovavo al Pronto Soccorso di Voghera per gravi motivi familiari e in quel momento non ci rendevamo ancora conto di cosa ci sarebbe capitato da quella notte. Infatti tutto era apparentemente tranquillo, certo, come si dice il solito tran-tran di un normale giorno al P.S.. Insomma la solita situazione di trambusto sempre al limite, ma nulla di diverso. Invece tutto cambiò nel giro di 24 ore e tutta l’Italia, ma noi lombardi in particolare, saremmo precipitati nella peggiore delle situazioni di pandemia. “Andrà tutto bene” e io aggiungevo “Andrà tutto stretto” anche grazie a scorpacciate di torte, tagliatelle, pizze ecc.. Ora però siamo ripiombati in una situazione simile, anzi forse anche più grave. “Andrà tutto bene?” speriamo di sì. Sempre per bontà vostra. (Giuliano Balestrero / LC Casteggio Oltre Po Pavese)