Ancora oggi ad Haiti, dove la fame è endemica, nelle bidonville su quattro assi di legno trasformate in botteghe, si vende una specie di pane a base di argilla, condita con un poco di sale e burro di palma e impastata con acqua. Secondo l’ultimo rapporto della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione) sono 55 oggi i Paesi in emergenza alimentare. Nessuna parte del mondo è esente da questa drammatica situazione. Nell’Africa sahariana, nel Medio Oriente, nell’America Centrale e in gran parte dell’Asia, le popolazioni sono nell’impossibilità di consumare cibo sufficiente a condurre una vita normale.
La crisi sanitaria provocata dal Covid-19 ha aggravato l’emergenza alimentare. Sono già 27 i Paesi alle prese con un aumento di persone colpite da fame acuta. Anche noi italiani non siamo esenti da situazioni di povertà. Un rapporto delle COOP di cinque anni fa segnalava che il 12,3% delle famiglie italiane non aveva un pasto adeguato. Particolarmente colpiti risultavano gli anziani, i monoreddito, le famiglie residenti nel sud, quelle che con più di tre figli e quelle con un solo genitore. Persone che con espressione spiacevole, ma eloquente, sono definiti i “nuovi poveri”. Da allora, a causa delle conseguenze portate dalla pandemia, le famiglie indigenti salgono al 45%. A quella platea si sono aggiunte persone che magari hanno una casa, un lavoro o una modesta attività, ma che non arrivano a fine mese. Lo segnala la Caritas nel suo ultimo “Rapporto povertà”; è una fetta della piccola borghesia italiana, composta da commercianti, artigiani, autonomi, precari, esodati, cassaintegrati, che non ce la fa più. Sono persone che con dignità e pudore cercano solidarietà per poter ritornare ad aver fiducia in se stessi. Forse, ma ce ne siamo accorti?, sono anche nella porta accanto.