NON SI POSSONO ESCLUDERE I LIONS

NON SI POSSONO ESCLUDERE I LIONS

INTERVISTA A STEFANO ZAMAGNI
Dopo la riforma del 2017, finalmente le cose sono cambiate. Dal modello di ordine sociale bipolare, basato sui pilastri Stato e Mercato, si passa al modello tripolare: Stato, Mercato, Comunità. DI GIULIETTA BASCIONI BRATTINI
Professor Zamagni, un po’ di tempo fa, per la nostra rivista nazionale, le feci due interviste che ebbero un grande successo da parte dei nostri lettori. Ora siamo qui a Sirolo, sulla Riviera del Conero, in occasione del Congresso Straordinario d’Autunno del Distretto 108 A ed approfitto per rivolgerle altre domande
Lei conosce la realtà dei Lions. In questo anno sociale la nostra associazione ha lanciato la “Mission 1.5”, una missione che si pone l’obiettivo di raggiungere più capacità di servizio umanitario con 1,5 milioni di Lions in tutto il mondo entro il 2027. La spinta nasce dalle emergenti istanze sociali e da una rallentata crescita, soprattutto a livello europeo. Lei che crede da sempre in un’economia solidale e civile, che cosa ci può dire del presente e del futuro della nostra associazione?
È vero, quello che sta avvenendo da qualche tempo in Italia. La diminuzione dei partecipanti e degli iscritti, non deve sorprendere più di tanto, perché fino al 2017, i Lions Club non potevano fare parte di quel variegato mondo che si chiama Terzo Settore per una ragione molto semplice: questi soggetti della società civile per esistere e per funzionare dovevano sottoporsi al cosiddetto regime Concessorio. Che vuol dire? Che erano le autorità pubbliche, le istituzioni, a decidere se un determinato soggetto potesse iniziare o meno ad operare. Era ovvio che, conoscendo la storia dei Lions, costituitisi negli Stati Uniti e ispirati alle ragioni della libertà, questa condizione non potesse essere accolta.
Nel 2017, dopo decenni di battaglie culturali, in Italia c’è stato finalmente un cambiamento radicale. Oggi il regime Concessorio non esiste più ed è stato sostituito dal regime del Riconoscimento. Ciò vuol dire che l’ente pubblico, quale esso sia, deve riconoscere l’esistenza, nel territorio, di soggetti della società civile, come i Lions Club, che, per la loro storia, intendono operare diversamente. Allora io prevedo che da adesso in avanti ci sarà un recupero di soci, soprattutto di giovani, perché le cose sono cambiate dopo la riforma del 2017 che, con la sentenza 131 del 26 giugno 2020, ha aperto una nuova modalità di intervento di soggetti come i Lions e tanti altri nel rapporto con le pubbliche istituzioni. Oggi è possibile infatti co-programmare co-progettare: cioè programmare assieme.
L’ente pubblico non può vivere da solo, decidere da solo. È chiaro che il giorno in cui, attraverso i processi di aggregazione, che sono ovviamente a livello distrettuale e non del singolo club, si arriverà ai tavoli della co-programmazione le cose cambieranno.
In quegli incontri la presenza e la professionalità dei Lions avrebbe la possibilità di incidere veramente, perché co-programmare vuol dire stabilire le priorità di intervento nei vari ambiti e, inoltre, trovare i modi adeguati di gestione. Successivamente si passerà alla fase di co-progettazione, cioè alla fase di esecuzione di quello che è stato deciso. Finora i Club sono stati tagliati fuori da tutto questo, per la ragione che ho ricordato all’inizio, ma l’ingresso delle nuove leve Lions è stata ritardata da questo fattore.
Quello che io auspico è che, su base distrettuale, si creino le Fondazioni, che già esistono in alcuni Distretti. Le Fondazioni di Distretto possono iscriversi al RUNTS, il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, e quindi partecipare ai tavoli della co-programmazione.
Lei è stato uno dei primi a sottolineare l’importanza della salvaguardia dei beni comuni, terra, aria acqua…, ma mentre allora era una visione lungimirante, oggi è purtroppo tardiva e vitale allo stesso tempo. Per il lionismo è talmente importante che ne ha fatto una sua bandiera.
È vero, quello che sta avvenendo, in maniera un po’ forse lenta, è già visibile da tanti fenomeni e fatti. È il passaggio dal modello di ordine sociale bipolare, basato su due pilastri, Stato e Mercato, al modello tripolare, Stato, Mercato, Comunità.
I Lions, gli enti della società civile e tanti altri, operavano a supporto, al servizio o dello Stato o del mercato. Il modello tripolare affida invece ai corpi intermedi della società una piena autonomia, che vuol dire capacità di cooperare ad armi pari con altri soggetti. Ecco allora perché la tua domanda oggi trova una nuova risposta.
Prima sui beni comuni, sull’ambiente, che è un bene comune, decidevano gli Stati nazionali e poi gli altri dovevano intervenire. Le cose è chiaro che non funzionano perché l’ambiente, essendo un bene comune, è un bene della comunità. Non è un bene privato ma non è neanche un bene pubblico, non per nulla si chiama comune. Comune ha la stessa radice di Comunità. Quindi non si possono escludere dai processi decisionali quei soggetti della comunità che si chiamano Lions o qualsiasi altra associazione di volontariato.
L’impressione è che l’attuale scenario di guerra spinga a chiudersi in se stessi e a non pensare troppo agli altri. Eppure, guardandoci indietro il lionismo e altre associazioni simili sono nate per aiutare gli altri, proprio nel periodo in cui era scoppiata la guerra.
È vero. Per colpa di cattivi maestri, pur bravi intellettuali, si è fatto credere che per scongiurare la guerra occorresse affidarsi alla forza delle armi. Da qui il perfezionamento di armamenti di tutti i tipi, armi non nucleari e ordinarie. Però ciò che scongiura la guerra è l’atteggiamento di chi conosce il concetto di bene comune e si spoglia del perseguimento del proprio interesse a favore di una co-progettualità comune. Quindi se vuoi evitare la guerra devi costruire la pace. I vari paesi nell’ultimo secolo per scongiurare la guerra hanno prodotto armi di guerra. Ma è una contraddizione di termini perché noi sappiamo che per costruire la pace dobbiamo operare su diversi fronti. Sul fronte economico, se non contribuisci allo sviluppo delle comunità queste prima o poi si ribellano, sullo sviluppo culturale, sullo sviluppo civile, quindi il concetto di sviluppo è ad ampio raggio.
Se veramente vogliamo batterci, in maniera non ipocrita, per la pace dobbiamo pensare che dobbiamo costruirla, perché la pace non ci viene dal cielo, la pace ci viene offerta come prospettiva, ma tocca agli uomini che vivono nella società edificare e costruire la pace.
Stefano Zamagni si laurea in economia e commercio all’Università Cattolica di Milano, si specializza presso presso il Linacre College dell’Università di Oxford (UK) e collabora, tra gli altri, con i premi Nobel John Hicks e Amartya Sen sulla ricerca sul tema dell’economia sociale.
Già insegnante presso l’Università di Parma e all’Università Bocconi di Milano, è professore di economia alla Johns Hopkins University, all’Università di Bologna, all’Istituto universitario Sophia di Firenze, alla Scuola di Economia civile. Docente in numerosi master in Italia e all’estero, è un brillante conferenziere e divulgatore delle scienze umane. Oltre alle sue attività accademiche e divulgative, veramente importanti e numerose sono le iniziative amministrative per la cultura cooperativa e delle organizzazioni no profit. Ha collaborato con molti governi della Repubblica italiana nella stesura di alcune leggi e con gli ultimi tre Papi nella realizzazione di documenti di cultura economica. Nel 2019 Papa Francesco lo ha nominato Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali per i suoi grandi meriti. È autore di numerosi libri, pubblicazioni, volumi editati, saggi che danno un prezioso contributo culturale e civile alla comunità.