Inverno demografico in Italia

Inverno demografico in Italia

PIERLUIGI VISCI 

Nel 2023, in Italia, sono nati 393 mila bambini, 14 mila in meno del 2022. Il segno meno ha riguardato il 72% dei comuni, tanto al nord quanto al sud. Nel primo semestre del 2024, i nati sono stati 178 mila e, se continuerà questo trend, a fine anno ci saranno circa 5 mila nati in meno rispetto al 2023.

BABY BOOM DEGLI ANNI ‘60

Pensate: quarant’anni fa nacquero 1.035.207 bambini. Fu lo storico baby boom del 1964, l’anno del “miracolo economico”, della lira “oscar delle monete”, di Gigliola Cinquetti che a 17 anni vinceva Sanremo con “Non ho l’età per amarti” e un mese dopo l’Eurofestival, prima italiana di sempre.

Aprirono i caselli dell’Autostrada del Sole, costruita in tempi record per unire Milano a Roma e aiutare l’unificazione nazionale. Unione ampliata dal maestro Manzi con il programma “Non è mai troppo tardi” (vedi LION febbraio 2025, pagina 66), la scuola in tv dal 1960 al 1968.

Fu anche l’anno del “San Marco”, primo satellite italiano nello spazio; nei cinema nasceva il mitico “spaghetti western” di Sergio Leone con “Per un pugno di dollari”. Un tempo di speranze, di sogni, di ottimismo, quello che ci vuole per avere voglia di fare figli. Anche se i salari, allora come oggi, erano magri.

IL CALO DELL’ULTIMO DECENNIO

Dal 2014 a oggi, invece, la popolazione italiana è diminuita di oltre un milione di unità, scendendo sotto la soglia dei 60 milioni, faticosamente raggiunta proprio quell’anno (60 milioni e 300 mila individui).

L’Istat calcola che nel 2042 avremo perso altri tre milioni di italiani, che nel 2047 saranno giù di altri 8,6 milioni. Nel 2080 saremo 46 milioni, con una straripante fascia di over 65 rispetto alla popolazione in età lavorativa, in grado di sostenere i consumi e pagare le pensioni. 

Siamo uno dei Sette Grandi dell’economia occidentale (peggio di noi, in questo senso, il Giappone) e già sprofondiamo nell’inverno demografico, come gli studiosi definiscono questo fenomeno sociale.

LA DESERTIFICAZIONE

Ed è solo un aspetto dell’inferno di un paese in cui 4 mila comuni (il 48,5% del totale) con 13,5 milioni di residenti, un quarto di tutta la popolazione tricolore, sono considerati “aree interne”, periferici e ultraperiferici. Che non vuole dire lontane dai centri vitali o dalle coste, bensì località anche amene, turisticamente attraenti, bagnate dal mare salentino o ligure, che agonizzano senza servizi essenziali, lontano da ospedali, ambulatori, scuole, infrastrutture, trasporti pubblici, connessioni digitali. Località dalle quali, nell’ultimo decennio, sono scomparse 26 mila attività commerciali. E dove 3.300 comunità sono prive di uno sportello bancario, nei quali è impossibile fare un semplice bancomat. La desertificazione di metà Paese è l’altra faccia della crisi delle nascite.

POSSIBILI SOLUZIONI

Cosa dovremmo fare? Anzi: cosa dovrebbero fare i governi? Il minimo: adottare misure serie e di medio-lungo periodo, che vadano a impattare sulla vita delle future generazioni dando fiducia e speranza ai giovani di quella attuale. Possibile? Alcide De Gasperi amava ripetere una frase di James Freeman Clarke, ministro della Chiesa unitaria (cristiana) americana del XIX secolo: «Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito, uno statista a quello del suo paese». 

I governi ci stanno provando con le solite ricette minimaliste (sgravi fiscali, bonus bebè, reddito di cittadinanza, pacchi alimentari) dettate dall’emergenza del momento, senza sfiorare l’essenza della questione: interpretare la complessità e la persistenza strutturale delle problematiche e mettere in campo politiche visionarie, di prospettiva. 

LE DIFFICOLTà DI OGGI

I dati relativi al calo demografico sono il combinato disposto di una cultura che si è sedimentata nei decenni, ma anche di difficoltà oggettive. Di trovare un lavoro – anche dopo anni di studio e sacrifici delle famiglie – in età compatibile con progetti di vita realistici e realisticamente certi, anche nel breve periodo. Impossibilità di venire retribuiti con salari e stipendi adeguati a sostenere le impellenze presenti e dell’immediato futuro, compatibili con i costi di case, mutui e sostentamento. E via di questo passo, dal carrello della spesa alle necessità di salute. Centomila giovani, dall’anno scorso a oggi, hanno preso la strada per l’estero. I posti di lavoro li trovano gli ultracinquantenni.

E poi si sproloquia in sterili dibattiti sull’età del primo figlio che è arrivata, in media, a 32 anni (contro i 29,7 delle omologhe europee). E ancor meno se la media di figli per donna è di 1,2: al secondo ci arriva una su cinque. Una seria politica per la natalità è fatta di tante cose: di asili nido, di congedi parentali, di tempo pieno nelle scuole, di piani per la casa, di mutui agevolati, di servizi, di prospettive di medio termine, di qualità del lavoro, di rispetto per il lavoratore. Perché si lavora per vivere, non per il contrario.

LO SPOPOLAMENTO

Questo clima di serietà e di prospettive vale anche per l’altro tema che qui abbiamo appena accennato: lo spopolamento delle periferie prossime e di quelle estreme. Che vale soprattutto per il Mezzogiorno, ma riguarda anche vaste aree del centro-nord. 

Un tema che merita approfondimento. E più attenzione anche della nostra famiglia Lion.

Salvare i borghi collinari o di montagna dallo spopolamento significa prendersi cura di boschi e argini, significa tutelare e salvare l’ambiente, l’ecosistema, le diversità. Significa toccare il tema dell’immigrazione regolare, non clandestina, ordinata e di come governarla con pragmatismo, senza paure o steccati ideologici. Siamo da sempre protagonisti di campagne di sensibilizzazione (come la recentissima “Tre alberi per salvare il Pianeta”). È il tempo di rimboccarci le maniche con nuovi e sempre nobili obiettivi.