La povertà uccide il futuro

La povertà uccide il futuro

A rischio 120 milioni di europei e quasi un italiano su due. La lotta all’indigenza e all’esclusione sociale ha fatto passi da gigante specialmente dal 1600 in poi. Nuovi strumenti sociali e soprattutto una nuova coscienza etica, pubblica e privata, alla base di progressi indubbi: in Italia negli ultimi decenni sono nati il Reddito di Inclusione, prima, e il Reddito di Cittadinanza, poi. Le “nuove povertà” e i rischi legati al Covid-19. Di Pierluigi Visci

“Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo”, sussurra Perpetua al giovane e sfortunato spasimante di Lucia. E più oltre, sempre nelle pagine manzoniane dei Promessi Sposi, Agnese porge al cardinal Borromeo: “I poveri ci vuol poco a farli comparir birboni”. Una storia infinita, la povertà. Che ancora oggi ci impone, scriveva Seneca già agli albori del Cristianesimo, che per essere “persona umana, vera” occorre “porgere la mano al naufrago, indicare la via a chi si è smarrito, dividere il pane con l’affamato”. La colta citazione è del cardinal Gianfranco Ravasi nella prefazione del piccolo, prezioso Parole che allungano la vita, recente opera del latinista Ivano Dionigi. Da San Francesco al Mahatma Gandhi passando per I Miserabili di Victor Hugo, le biblioteche sono piene di riferimento ai poveri e alla povertà. Condizioni per le quali ha speso l’intera esistenza Madre Teresa di Calcutta, che amaramente rifletteva: “Molti parlano dei poveri, ma pochi parlano con i poveri”.
La povertà, oggi, la misuriamo come punti di Pil, analisi sociologiche e statistiche, algoritmi e strumenti normativi. Per un attimo siamo stati indotti a pensare che la povertà fosse stata abolita, ma era solo un artificio dialettico e propagandistico. Qualche risultato, tuttavia, lo stiamo raggiungendo perché da quel XVII secolo descritto da Manzoni – la Poor Law di Elisabetta I Tudor è del 1601, il periodo più buio per l’economia europea – al nostro tempo l’indigenza, l’esclusione sociale, le discriminazioni economiche e culturali sono state gradualmente contenute. Anche se l’Istat certifica che ancora nel secondo decennio del XXI secolo, il nostro, il 23,5% della popolazione europea, 118 milioni di individui, è a rischio povertà o esclusione sociale.
Secondo i parametri della Banca Mondiale è in condizioni di povertà estrema l’individuo che può contare su 1,25 dollari al giorno, la povertà moderata si attesta a 2 dollari. Tra il 1990 e il 2005 la povertà estrema si è ridotta dal 41,7% al 21,2%. Sono bastati 75 centesimi di dollaro?
La cosiddetta soglia di povertà varia per continente, paese, spesso anche rispetto alla regione, talvolta al Comune o addirittura al quartiere: il presidente del Quartiere di una città medio-grande riferiva che in due zone del suo territorio la speranza di vita era più bassa rispetto al resto del quartiere per condizioni economiche e, quindi, carenze alimentari, cure mediche e livello culturale.
Nel 2019, in Italia, la soglia assoluta di povertà era di 1.050,95 euro al mese per una famiglia di due persone, per un singolo tra 552,39 e 819,13 (a seconda della regione), 1.400 euro per una famiglia di due persone con un figlio. Sono più o meno le stesse cifre alla base dei calcoli di sussidio per il reddito di cittadinanza, in vigore da marzo 2019.
La regione con il maggior numero di poveri è la Calabria (32%) seguita da tutte le altre 6 del Mezzogiorno (ad eccezione dell’Abruzzo). Le prime 7 con minore soglia di povertà sono Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia e Piemonte. In termini assoluti, sono 9,3 milioni le persone in povertà relativa e 18 milioni quelle a probabile rischio di povertà, per un totale di 27,3 milioni di persone. Poco meno della metà della popolazione italiana: 60 milioni e 244 mila persone.
Alla povertà di tipo endemico si aggiunge la quota crescente dei “nuovi poveri” (piccoli commercianti, lavoratori autonomi, padri separati) che, per effetto dell’emergenza sanitaria Covid, è passata dal 31 al 45%. Una persona su due che si rivolge alle Caritas diocesane lo fa per la prima volta. Nel suo celebre saggio, Zygmunt Bauman ha sostenuto che se un tempo la povertà era legata alla disoccupazione, oggi è riferibile ai livelli di consumo ed è per questo che occorre affrontare le nuove sfide sociali – welfare, occupazione, marginalità – sulla base di un nuovo approccio etico.
E dire che negli ultimi tre decenni, sia a livello sovranazionale che nazionale, abbiamo fatto passi da gigante nella comprensione della “questione povertà”, individuando forme di assistenza più mirate (giovani, migranti, donne).
Dal 1997 l’ONU utilizza l’indice IPU per la povertà umana, relativamente a reddito e opportunità di esistenza accettabile, con indicatori relativi a 1) durata della vita e condizioni di salute; 2) accesso alle conoscenze; 3) disponibilità economica e grado di partecipazione sociale. L’IPU1 è per i Paesi in via di sviluppo, nei quali la speranza di vita è 40 anni; l’IPU2 per i Paesi industrializzati, speranza di vita 60 anni. L’aspettativa di vita degli italiani è di 82,7 anni (84,8 per le donne, 80,5 per gli uomini), al sesto posto nel mondo (Giappone in testa) e al quarto in Europa (dopo Svizzera, Spagna, Islanda). La pandemia Covid-19 dovrebbe far contrarre la sdv italiana, nel 2020, tra lo 0,4 e l’1,4% e addirittura di 3 unità entro il 2035.
Sempre in Italia, negli ultimi due decenni sono nati nuovi strumenti di sostegno alle fasce più deboli o fragili. La crisi del 2008 (governo Berlusconi) produsse la Carta Sociale Ordinaria per acquisto di generi alimentari, medicinali e pagamento bollette domestiche. Si aspetta il 2016 (governo Renzi) per l’istituzione del Fondo povertà e del Sostegno per l’inclusione attiva (SIA), che nel 2017 (governo Gentiloni) diventa Reddito di Inclusione (REI) e successivamente (governo Conte I) Reddito di Cittadinanza, finanziato con 5,8 miliardi di euro nel 2019 e 7 miliardi nel 2020. Anche l’Unione Europea, a partire dal 2010, ha messo in campo Fondi specialistizzati di sostegno.
Il nuovo approccio etico di cui ci parla Bauman è presente nelle riflessioni della Fondazione Emanuele Zancan su Lotta alla povertà e innovazione sociale. E lo è sia da più puntuali definizioni, per cui la povertà “non è solo mancanza di mezzi, ma anche di fiducia, relazioni, salute, opportunità, speranza”, sia per “risposte” più appropriate. L’attuale welfare (stato sociale), privilegiando “il prestazionismo e l’assistenzialismo”, contribuisce a una “costosa recessione di umanità”, senza soluzioni per uscire dall’emergenza.