Erano le idi di marzo

Erano le idi di marzo

“Riccardo!… tu la mascherina dove l’hai presa? Ne hai una che ti cresce?”. L’appello era partito da un poveruomo che si aggirava per le strade deserte della mia città attorno al 12 marzo.
Il lock down era scattato da poco, e lui, a piedi, stava passeggiando con un trufolo di cane: la sua sola compagnia, in una città semideserta.
Erano i giorni in cui le mascherine erano divenute introvabili e quelle poche rivendite che ne disponevano le cedevano sottobanco a prezzi innominabili. Erano i giorni in cui nessuno ancora conosceva l’acronimo DPI (Dispositivo di Protezione Individuale… ma chi mai l’ha coniato?) Erano i giorni in cui mi è capitato di incrociare una signora con maschera antigas, o qualcosa di somigliante… roba da non credere, ma anche se non si vedeva lo sapevamo: eravamo in trincea.
Io di mascherine ne avevo solo una: quella che indossavo, recuperata da uno stipo del garage ove l’avevo riposta mesi addietro per utilizzarla in un’improbabile seduta di verniciatura a spruzzo che avevo programmato per la primavera.
Lo dissi ad Antonio (era lui, un ex benzinaio ora in pensione, che me l’aveva chiesto) lasciandolo sconsolato: gli serviva per portare fuori il cane. Ma quella richiesta fece scattare una molla, risvegliando uno spirito mai del tutto sopito.
Un colpo di telefono al presidente, uno scrollone ed il resto venne da solo: il club si era attivato. Uno slancio di solidarietà che aveva coinvolto numerose forze presenti nel sociale e con noi per primi i Leo.
Ed allora attrezzature per l’ospedale, biancheria intima di ricambio per i pazienti ricoverati irraggiungibili dai parenti, cuscini, camici monouso, guanti e mascherine chirurgiche e perché no anche generi di conforto per i volontari delle Croci. Aiuti per la Caritas e per i francescani: da soli e con la Zona.
Di più non si poteva fare. Ma non è finita: ora si sta programmando il futuro. (Riccardo Tacconi / LC Vigevano Host)